“Continueremo il processo di liberazione sociale ed economica”: sono le parole di Evo Morales, di origini amerindie uru-aymara, leader del partito “Movimiento al Socialismo” (MAS), sindacalista ed ex cocalero. Il 13 ottobre 2014 è stato riconfermato per la terza volta Presidente della Bolivia, ottenendo il 60% dei voti, contro il 25% del magnate Samuel Doria Medina, rappresentante di “Unidade Democrática”. A partire dal 2006, anno del suo primo mandato, la Bolivia (10 milioni di abitanti circa), si va trasformando e l’Unesco nel 2008 l’ha proclamato paese libero dall’analfabetismo. Negli ultimi anni si è attuata una nuova riforma agraria, la crescita economica ha raggiunto in media il 5% annuo e molti proventi sono stati ridistribuiti in investimenti sociali, gli indici di criminalità sono relativamente bassi.
Evo Morales è stato il primo indigeno a diventare presidente (venne eletto per la prima volta il 18 dicembre 2005). Il suo trionfo, con il 53,7% dei voti, costituì un fatto senza precedenti nell’intera storia latino-americana. Batté al primo turno il rivale conservatore Jorge “Tuto” Quiroga, leader del partito “Democratico e sociale” e candidato dell’oligarchia bianca. Nella campagna elettorale Morales era accompagnato da Alvaro Garcia Linera, candidato vicepresidente, sociologo e matematico, uno degli analisti politici più importanti del Paese. Seguace di Marx e della sociologia di Pierre Bourdieu, Garcia Linera funzionò come “ponte” verso la classe media, restia a votare per un indigeno. Garcia che rappresentò la parte più pragmatica del nuovo governo affermava: “L’unica cosa razionale in Bolivia è lo Stato. La riduzione delle enormi disuguaglianze del Paese può avvenire solo rafforzandone il ruolo economico e sociale”.
Prima di Evo Morales la Bolivia era ancora uno stato coloniale. L’élite bianca e meticcia occupava giustizia, ministeri, vertice delle forze armate e quasi tutti i seggi parlamentari, in una terra ove i discendenti Aymara e Quechua rappresentano ancora oggi i due terzi della popolazione. Il Paese si trova nel cuore del continente latinoamericano ed ha una superficie quattro volte superiore all’Italia. Faceva parte dell’impero Inca e nel 1538 fu conquistato dagli spagnoli. Qui, nel 1781, il fiero indigeno Tupaj Katari capeggiò una grande insurrezione. La dominazione spagnola terminò nel 1825 con la proclamazione dell’indipendenza, ma gli indigeni continuarono a subire emarginazione e razzismo. È in Bolivia, tra l’altro, che 47 anni fa si immolò Ernesto Che Guevara per tener fede ai suoi ideali di giustizia sociale.
Il territorio è ricchissimo di materie prime: zinco, rame, piombo; molte le miniere e i giacimenti petroliferi. Le riserve di gas naturale sono le seconde del Sudamerica, dopo quelle del Venezuela. Il Paese ha un’economia totalmente dipendente dalle esportazioni, soprattutto quelle di petrolio, minerali e gas che viene esportato anche in Argentina e Brasile.
Martoriata dalle dittature dal 1964 al 1982, la Bolivia si aprì successivamente alla politica neoliberista. I vari governi che precedettero Morales avviarono processi di privatizzazione di molte compagnie statali che portarono a contestazioni e accuse di vendere la Patria agli stranieri. Privatizzarono l’intero settore energetico, dai giacimenti agli impianti di raffinazione. Diedero il diritto di sfruttamento a multinazionali come la British Gas e Panamerican Gas, sovvenzionata dalla British Petroleum, l’ispano-argentina Repsol-Ypf, la francese Total, la brasiliana Petrobras. Tutte compravano il gas a 70 centesimi al metro cubo contro i 5 o 6 dollari, valore effettivo di vendita. Questa situazione aumentò ancor più il divario tra le ricchezze naturali e la miseria della popolazione. Secondo i dati ONU su 10 milioni di abitanti, il 63% viveva sotto la soglia di povertà.
Ma dal 2000 in poi, pur essendo ancora fondamentalmente uno Stato razzista, la forza dei movimenti sociali fu tale che le ricorrenti rivolte, diedero origine al ciclo di proteste più importanti dai tempi della rivoluzione del 1952. I movimenti boliviani affondano le radici nella tradizione insurrezionale degli Aymara, nell’orgoglioso movimento dei minatori che il giovane Che Guevara vide reprimere nel sangue nella notte del 24 giugno 1967. Le prime marce di migliaia di minatori organizzati che da Oruro e Potosì giunsero a La Paz per chiedere più diritti civili, nel tempo si costituirono in forma di lotta continua da parte di campesinos cocaleros, operai, minatori, indigeni.
Nel 2003, con le rivolte contro la privatizzazione del gas, i movimenti lottarono contro lo sfruttamento e la voracità neocoloniale che non portava al Paese alcun miglioramento nelle condizioni di vita, salute, educazione. La rivolta popolare pose fine al governo di Ponzalo Sànchez de Lozada, mettendo al centro il tema della statalizzazione degli idrocarburi e della convocazione di un’Assemblea Costituente.
Anche il MAS ebbe origine dalla resistenza dei cocaleros (coltivatori della foglia di coca) nei confronti delle politiche contro le loro piantagioni, elaborate dal governo su pressione degli Stati Uniti.
Morales iniziò l’attività politica e sindacale battendosi per la sua gente, contadini i cui diritti erano stati messi in discussione dalla presunta lotta al narcotraffico decisa dagli Stati Uniti (la strategia statunitense, in realtà, mirava a controllare il patrimonio biogenetico e ad impossessarsi degli idrocarburi boliviani). Fu leader del movimento sindacale dei cocaleros, conobbe il carcere, fu candidato al Nobel per la Pace. Nel 1995 Evo fondò il partito “Instrumento Politico por la Soberanìa de los Pueblos” (IPSP) che poi con luì nel MAS, da lui diretto dal 1997. A partire dalla difesa dei coltivatori di foglie di coca, fu capace di articolare una serie di domande popolari tra cui il rifiuto della privatizzazione dei servizi pubblici e l’ingerenza nord-americana.
Nel 1997 fu eletto deputato con il 70% dei voti nella sua regione, il Chapare e Carrasco, nel Dipartimento di Cochabamba. Nel 2000 aderì alla guerra dell’acqua a Cochabamba con la “Coordinadora del Agua”. Nel 2003 aderì alla “Coordinadora en defensa del gas”, accompagnando e dirigendo le sollevazioni che nel giro di due anni fecero cadere i presidenti Ponzalo Sànchez de Lozada e Carlos Mesa Gisbert.
Il suo grande impegno sociale e politico lo portò nel 2005 alla presidenza. Nel 2009 venne riconfermato con il 62,5% dei voti. Ed ora, nel 2014, è la sua terza volta.
Di passaggio in Italia a fine ottobre 2014, Evo Morales è intervenuto in via informale all’udienza del Papa con i Movimenti Popolari. Poi, all’Università La Sapienza di Roma, nel corso della conferenza “Solidariedad, complementariedad y autodeterminacion de los pueblos”, ha spiegato che il cambiamento del suo Paese si regge su tre pilastri. Una Costituzione, unica nel panorama internazionale, che istituisce uno Stato plurinazionale. Mediante vari meccanismi partecipativi e garanzia effettiva dei diritti, aspira a superare le storiche discriminazioni contro la maggioranza della popolazione, che la stessa Costituzione definisce “Nación indígena y campesina”.
Il secondo pilastro è costituito dalle nazionalizzazioni (quelle che nel Cile del 1973 costarono la vita a Salvador Allende). Nonostante una costante demonizzazione dei media nazionali e internazionali, con la statalizzazione degli idrocarburi e del settore elettrico, lo Stato boliviano è diventato attivo e si è trasformato in motore di sviluppo e benessere per i cittadini.
Il terzo punto è la redistribuzione del reddito. Riprendendo il controllo nazionale delle imprese, i ricavi sono stati in buona parte devoluti a sussidi volti a migliorare la vita del popolo, aumentando il livello di salute e istruzione. È triplicato il reddito medio e il salario minimo è passato da 65 a 210 dollari pro capite. Il numero di persone che vivono sotto la soglia di povertà è calato del 25%. Anche i più poveri oggi hanno diritto alla pensione e l’arrivo di esperti medici cubani ha permesso di effettuare 650.000 operazioni gratuite agli occhi, prima impedite dal modello di sanità privata che condannava masse di indigenti alla cecità.
Tra i progetti statali, un satellite per le comunicazioni porterà internet anche nelle scuole delle zone rurali. Eppure c’è ancora molto da fare. La corruzione resiste, mancano indipendenza del potere giudiziario e tutela dell’ambiente. Continuano alcune critiche di populismo e di capitalismo al governo, ma la Bolivia ha ripreso il controllo del proprio cammino, grazie ai princìpi e ai risultati di crescita sociale ed economica.
Publicato sulla rivista “Patria Indipendente”, sez.Estero A. 2014, n. 10.
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Antonella Rita Roscilli – Giornalista-brasilianista, scrittrice e traduttrice, si dedica in Europa alla divulgazione di attualità e cultura dell’America Latina, in particolare Brasile, oltre ai Paesi dell’Africa lusofona. Collabora con vari giornali e riviste tra cui “Latitudes-Cahiers lusophones” (Parigi), “Patria” (Anpi), “Latinoamerica e tutti i Sud del mondo”. In Italia ha fondato e dirige da diversi anni la Rivista Internazionale di Dialogo Interculturale “Sarapegbe”. E’ corrispondente per l’Italia del giornale brasiliano dello stato di Bahia “Gazeta do Turismo”. In Brasile ha pubblicato, tra le altre, le seguenti opere: “Zélia de Euá Rodeada de Estrelas” (ed. Casa de Palavras-2006) e “Da palavra à imagem” (Edufba-2011).