I barbari dello Stato Islamico hanno lasciato nuovamente il segno. Dopo aver dato alle fiamme circa ottomila volumi custoditi presso la biblioteca di Mosul, compresi rari manoscritti, hanno letteralmente devastato il museo che sorge sulla riva sinistra del Tigri, nell’area dell’antica Ninive già capitale del regno assiro nel 700 avanti Cristo. Statue, manufatti e bassorilievi millenari sono andati in frantumi, colpite dalla mano violenta e irrazionale dei miliziani di al Baghdadi.
Un danno enorme contro la storia dell’umanità, ma soprattutto per la cultura di quella povera e disgraziata terra. Un video, diffuso ieri in rete, mostra l’efferata sfrontatezza con la quale i combattenti dell’Isis distruggono i reperti archeologici tramite mazze e martelli pneumatici, come peraltro accadde in altri luoghi antichi (le mura della capitale assira) e in luoghi di culto.
Le immagini ricordano la distruzione dei Buddha di Bamiyan, in Afghanistan, da parte degli studenti del Corano che nel 2001, con della dinamite, fecero letteralmente a pezzi opere dal valore inestimabile.
Statue che davanti ai loro occhi rappresentavano idoli del passato da cancellare. Urla e fanatismi vari confondono l’azione dei miliziani e sullo sfondo si sente un uomo intonare: “Oh musulmani, questi artefatti dietro di me erano idoli e dei venerati da popoli che vissero qui prima di Allah. E il nostro profeta ordinò che venissero distrutti”. Nel nome del profeta quindi, follia.
Tra le numerose opere prese di mira vi era l’antica divinità mesopotamica di Nergal, che raffigurava un toro alato. Le scriteriate regole dello stato islamico vietano infatti qualsiasi riproduzione di esseri umani o animali, tanto più se raffigurazioni di dei. Dopo i libri, insomma, anche le statue. Barbarie infinita.