Martedì 11 dicembre va in scena al Teatro Hamlet di Roma, in anteprima assoluta, FOSCO E LA NERA di Rosi Giordano, una rivisitazione originale del Macbeth Shakespeariano in cui sono stati mantenuti i connotati più marcati del testo: l’ambizione, l’amoralità e il desiderio di potere. Una pièce muta con maschere larvali che vanno a impersonare diverse caratterialità: Fosco e la Nera, Ignaro, Illusione, Emulo e Fedele.
I sei personaggi, interpretati da tre attori, sono legati da una relazione amicale, cameratesca o parentale, ma vengono sconvolti dall’ incontro con un essere, Illusione, che porterà alla luce le loro ambizioni nascoste.
Fosco e la Nera, coniugi di nobile casata, ambiscono a prendere il potere rappresentato da Emulo, il re. Fosco apparentemente è l’unico antagonista di Emulo, ma il possesso della corona e dello scettro, rispettivamente il primo attributo della sovranità e il secondo simbolo di potere e autorità, affascinano e ipnotizzano ogni personaggio che, a turno, perde il controllo sui propri doveri: la devozione verso il proprio re, il cameratismo, il rispetto verso il consorte.
L’ aggressività è una caratteristica di tutti i protagonisti, i quali si comportano come se fossero perennemente in guerra, anche se in scena non si vedono armi, bensì azioni armate: alimentano il desiderio di sopraffazione e di potere esclusivamente con la gestualità, connubio di azioni quotidiane e posture aggressive e bellicose.
Illusione, una strega macbethiana riveduta e corretta, si palesa agli occhi degli spettatori, ma è invisibile ai personaggi. E’ un’ombra provocatrice ma senza un piano a monte. Possiede la caratteristica di far emergere i desideri più sottesi, li svincola da convenzioni e doveri e apre la porta ad un possibile destino. Una sorta di dio che mette alla prova l’equilibrio morale degli individui attraverso corone e scettri, mentre il serpente tentatore è in ogni individuo, basta liberarlo. La bramosia di Fosco, condivisa e sorretta dalla consorte, annienterà tutti i personaggi. La Nera sarà l’ultima vittima e con la sua fine il turn over degli avvenimenti si spezza, la battaglia si conclude. Fosco non ha più nemici, ha il potere agognato, ma la vista dei resti di tutti i suoi compagni e in particolare della consorte, determinerà in lui la consapevolezza delle sue efferate azioni e in ultimo rivolge l’arma metaforica, l’azione armata, verso se stesso. Fosco è un peccatore, ma anche giudice e boia di se stesso. Un peccatore redento.
“La pièce costruisce il suo segno distintivo attraverso l’uso della maschera larvale e la sua sfaccettata larvale espressività.”- annota la regista Rosi Giordano.” La maschera è già personaggio bypassando la mobilità degli occhi, la mimica facciale e la fisiognomica dell’attore. E’ un foglio bianco sul viso dell’attore che liberato della sua soggettività ne assumerà una nuova depurata da se stesso, sarà l’essenza del personaggio. Le maschere larvali definite sulla base della lettura della personalità di ogni singolo personaggio sono state, in alcun casi, costruite dagli stessi attori: resa la forma viene estrapolato il personaggio attraverso la sua azione espressiva e lo ri-conosciamo nonostante non rappresenti forme reali ma piuttosto la coniugazione tra animale e umano. “Fosco e la Nera” è un racconto muto che ho voluto strutturare, attraverso le regole della sintesi, con un codice gestuale desunto osservando l’uomo e la sua gestualità di genere. La sintesi è quasi d’obbligo quando si lavora con le maschere intere e nel caso specifico la maschera larvale ha preteso uno sconfinamento rispetto al gesto naturalista: ogni personaggio vive uno status emotivo leggibile nel suo agire e nella sua postura in un connubio di astratto e realtà. Il percorso espressivo si evolve in quattordici scene in cui l’azione è formula primaria di comunicazione. La maschera larvale, nell’immaginario collettivo, racconta in particolare il quotidiano attraverso la semplicità e l’ingenuità espressiva mentre l’intento, in ”Fosco e la Nera”, è stato quello di spingerla verso un’espressività articolata in un insieme di movimento e gestualità non stop action in cui tutti gli elementi espressivi coinvolti tendono alla sintesi ma in un climax fitto e dinamico.”
La drammatizzazione vera e propria avviene in uno spazio circolare, un cerchio di luci inteso come spazio sacro in cui si richiamano energie e dove le allucinazioni, la smania di potere, le contraddizioni, il senso di colpa dei diversi personaggi si palesano. Un racconto sostenuto da ritmi sonori percussivi in sintonia con le pulsioni ancestrali in continuo divenire.