Trenta anni fa cadeva il Muro di Berlino. Una immagine scolpita nei ricordi, quando la sera del 9 novembre 1989 le televisioni di tutto il mondo proiettarono i video dei giovani che si arrampicavano sul muro uno sull’atro, le picconate che sprigionavano polvere dalla barriera tetra e granitica. Gli urli di gioia e le lacrime sgorganti dai visi di due milioni di persone che sfidavano il regime ormai agonizzante passando l’angoscioso confine per decenni drammatica linea di demarcazione delle due Berlino, sancendo così la fine di un’epoca segnata dal dolore.
La storia racconta, che il muro cadde inaspettatamente malgrado diversi segnali lo avessero preannunciato nei mesi precedenti. Dalle dimissioni il 18 ottobre, del leader della DDR, Erich Honecker che nel gennaio di quell’anno aveva pronosticato senza molta convinzione, cento anni ancora, di Muro, all’allentamento dei controlli ai valichi cecoslovacchi e ungheresi che avevano consentito con maggiore facilità le fughe di migliaia di tedeschi dell’est, ai disordini pubblici andati avanti per giorni che aprirono quasi inspiegabilmente ad un atteggiamento più tollerante del governo della Germania Est nel rilascio dei permessi destinati alle visite di Berlino ovest.
La notte della caduta del blocco di cemento armato, lungo 155 chilometri che aveva diviso fisicamente la capitale tedesca in due parti, la Berlino Est controllata dall’Unione Sovietica e la Berlino Ovest, zona di occupazione americana, britannica e francese, durante una conferenza stampa il portavoce del governo della Ddr, Guenter Schabowski, pressato dalle domande del corrispondente ANSA a Berlino Est, Riccardo Ehrman, comunicò per un malinteso, l’effetto immediato della modifica delle leggi che disciplinavano i viaggi all’estero. L’incontro con la stampa che si stava svolgendo in diretta televisiva, travolse totalmente gli animi dei berlinesi che in migliaia si portarono correndo verso i posti di frontiera che dividevano le due Berlino.
L’afflusso enorme disorientò i militari ai blocchi di confine che senza attendere gli ordini, alzarono le sbarre lasciando passare senza controlli la folla di cittadini dalla zona est della città che massicciamente transitò verso la libertà.
Sorpresa, stupore incredulità accompagnarono questo passaggio oltre il confine per 28 anni asserragliato dai nuclei della Polizia del popolo armati fino ai denti sempre pronti a sparare a vista chiunque si fosse solo avvicinato al Muro e responsabili di oltre 150 uccisioni di fuggiaschi che avevano tentato di eludere i controlli lungo la barriera resa nel tempo sempre più impenetrabile.
La notte 13 agosto 1961, alle ore 1:01 la radio di Berlino Est interrompe la trasmissione ‘’Melodienzur Nacht’ per una comunicazione particolare ‘’I governi degli stati del patto di Varsavia si rivolgono al Parlamento e al governo della DDR affinchè alla frontiera con Berlino Ovest entri in vigore un nuovo orfinamento in grado di impedire efficacemente ogni attività sovversiva nei confronti dei paesi del Blocco socialista, garantendo nel contempo una sorveglianza affidabile in tutta l’area che circonda la parte occidentale della città’’.
Il significato della dichiarazione è chiaro: Berlino Ovest sarà bloccata. Alle ore 1:05 di quella domenica del 13 agosto 1961, alla Porta di Brandeburgo si spengono bruscamente le luci. Unità delle truppe d’assalto e poliziotti di frontiera della DDR armati arrivano e si appostano sulla linea di demarcazione interna della città. Intanto le luci dei riflettori illuminano i mezzi militari che disfano il manto stradale ed erigono a velocità supersonica una barriera di pali e filo spinato. Ad Ovest nessuno ancora può immaginare. Intono le 2:00 il commissario maggiore Hermann Back apprende dal distretto di Polizia di Spandau che la metropolitana S-Bahn proveniente da Stanaken in direzione Berlino viene ricondotto indietro nell’area della zona di occupazione sovietica. Da lì a poco le comunicazioni divengono sempre più allarmanti e si diffonde il panico.
Ad Est in poche ore il confine fu ben delineato, angoscia e smarrimento si respiravano nella notte buia di quel 13 agosto ’61 che mise fine al flusso migratorio di cittadini dell’Est di Berlino verso Berlino Ovest in cerca di un futuro più sostenibile.
Il filo spinato, dopo poco tempo, lasciò il posto a due blocchi paralleli di cemento armato alti oltre tre metri per un perimetro di 155 chilometri che delimitava il cupo confine intervallato da minacciose guardiole di sorveglianza. Al centro la lingua della morte, una lunga lingua di terra presidiata da tiratori scelti, i cosiddetti cecchini che si macchiarono del sangue di centinaia di persone che tentarono la via della fuga in quell’area che odorava di terrore e morte.
In cinquemila circa riuscirono a varcare il confine, escogitando piani di fuga supportati da sotterfugi diversi come i bagagliai con il doppio fondo e tunnel scavati per giorni al di sotto del muro.
Ancora oggi nella Est di Berlino si respira un’aria diversa, la città a distanza di trenta anni risente della mortificazione emotiva subita, il ricordo delle luci basse e l’opprimente realtà della divisione sofferta aleggia tuttora. Il sito commemorativo attraverso un’ampia area espositiva rievoca quel periodo soffocante. Il museo del Checkpoint , proprio al vecchio checkpoint dove nell’ottobre del 1961 si fronteggiarono i carri armati americani e sovietici, presenta reliquie e documenti del Muro, del regime confinario e dei numerosi tentativi di fuga.
La caduta del Muro di Berlino la notte di trenta anni fa, chiudeva una complessa fase storica, la Guerra Fredda. Espressione nello scenario mondiale dell’egemonia contrapposta tra le due superpotenze, Stati Uniti e Unione Sovietica.