Il pericolo grave di una cattiva informazione è stato rilanciato con forza da papa Francesco in occasione dell’udienza ai giornalisti del Consiglio nazionale dell’Ordine. Le parole severe e preoccupate del Papa hanno riportato alla memoria l’esortazione frequente ai tempi di Sandro Pertini: il presidente della Repubblica ricordava spesso ai giornalisti “che bisogna tenere la schiena dritta sempre”. Mi è parso bello riscoprire, su piani temporali sfalsati, una sintonia profonda tra il presidente Pertini e papa Francesco, una passione accorata e generosa su un tema così cruciale per la democrazia, la vita civile e politica. Purtroppo, non solo il governo e i partiti ma anche potenti interessi economici, pubblicitari ed editoriali interferiscono ed agitano il mondo dell’informazione, con la costante pretesa di portare acqua al proprio mulino. I giornalisti risultano spesso vasi di coccio in mezzo a più potenti contenitori di ferro con una non piacevole debolezza in un quadro condizionato sin dall’inizio con la nomina non trasparente del direttore responsabile e i rapporti con la proprietà editoriale.
E’ un momento delicato di crisi grave dell’Europa, terrorismo, grande difficoltà perdurante sul piano economico e finanziario, tragedia della condizione giovanile e dell’occupazione, difficoltà non comune delle famiglie e delle imprese che non si riesce ancora ad affrontare adeguatamente anche per l’esorbitante carico fiscale. In mezzo a tutto questo grande carico di problemi acuti, l’informazione rischia di oscillare continuamente tra una sorta di eccitazione emotiva, l’amplificazione della protesta e la tentazione di sopire e addormentare le questioni senza vero approfondimento e riflessione critica, pacata e matura. Manca spesso la capacità di informare e sollecitare l’opinione pubblica in modo che possa conoscere e acquisire coscienza di situazioni e problemi senza forzature propagandistiche o posizionamenti preconfezionati a favore di questo o quello schieramento, di questo o quel leader. In qualche modo si tratta di un problema sempre presente nella tradizione del nostro paese e che emerge in forme nuove e più complesse a causa della mancata uscita dell’Italia dalla grande crisi e del delicato passaggio e conseguente incertezza per il futuro del nostro sistema istituzionale e politico.
Quasi con un significato aggiuntivo rispetto alle considerazioni svolte prima il 23 settembre, è caduta la ricorrenza del centenario della nascita di Aldo Moro. Solo in parte si è approfittato per compiere una riflessione sul significato e l’importanza della presenza dello statista pugliese. Fortunatamente il capo dello Stato Mattarella ha evitato l’oblio richiamando il valore e l’importanza di Aldo Moro nella vita politica e intellettuale della società italiana. Sarebbe tuttavia errato considerare Moro tutto politico o prevalentemente uomo di studi e di ininterrotto impegno universitario. Occasione questa che lo portò ad avere sempre vivo un colloquio dinamico con le nuove generazioni, fonte continua di preoccupazione ma soprattutto di ispirazione anche per la sua politica e le scelte indispensabili per far crescere una società più aperta ed inclusiva. L’avvento del centro sinistra e la collaborazione con i socialisti non sono stati concepiti da Moro come mere operazioni di potere, così come non lo è stato il percorso lungo e travagliato per giungere ad una possibile collaborazione col Partito Comunista di Berlinguer ed alla fine l’accettazione da parte della Democrazia Cristiana tutta intera.
La tragedia di via Fani con la strage di tutta la sua scorta, il rapimento, la sua prigionia di 55 giorni e il tragico epilogo con l’assassinio brigatista interruppero ferocemente il percorso umano e politico dello statista pugliese che tanto avrebbe potuto influire ancora positivamente nella crescita dell’Italia. In una stagione caratterizzata da svolte nel segno della rottamazione, da grave crisi economica e istituzionale anche a livello europeo e con un quadro geopolitico preoccupante, la lezione di Aldo Moro, il suo lascito culturale e politico sarebbero oltremodo utili, tanto in rapporto alle gravi difficoltà dell’Europa e ai timori e alle incertezze che percorrono in profondità la società italiana. Muoviamo verso i 40 anni dalla sua scomparsa, il 9 maggio 1978 con il corpo racchiuso nel portabagagli di una Renault rossa parcheggiata in via Caetani, a due passi dalle sedi dell’allora Partito Comunista e della Democrazia Cristiana. L’occasione dovrebbe servire ad una riflessione profonda del pensiero e dell’azione politica di Aldo Moro, senza nostalgie e rimpianti ma approfondendo utilmente la sua straordinaria esperienza fin dalla Costituente, al decisivo contributo espresso nella formulazione dell’articolo primo che pone il lavoro come fondamento della Repubblica e del 49, dedicato alla funzione e responsabilità dei partiti nella vita dello Stato e della società.
(24 settembre 2016)