Le immagini dei giorni scorsi dei combattenti curdi che sventolavano i loro simboli su Kobane, città in mano all’Isis da mesi, hanno fatto il giro del mondo e ci hanno dato un senso di rinnovata sicurezza. La città siriana al confine con la Turchia, infatti, rappresentava l’avamposto più vicino a “Occidente” dei miliziani dell’Isis.
Ma si tratta sul serio della prima grande sconfitta di Abu Bakr al-Baghdadi? Kobane è stata una piccola vittoria che, secondo alcuni esperti di geopolitica, non avrà grande rilevanza per le sorti generali della guerra, anche se dal punto di vista simbolico è stato un gran colpo.
La battaglia in sé però ha fatto emergere i limiti di una strategia, quella americana, che ha palesato diversi problemi di coordinamento proprio con i curdi. Nonostante i bombardamenti della grande coalizione occidentale ci sono voluti quattro mesi per scacciare i temibili miliziani del califfato nero dalla piccola città. Secondo punto, su altre zone della Siria gli attacchi aerei sono stati infrequenti e non sufficienti a cambiare lo status quo, lo Stato Islamico governa ancora su circa un terzo del territorio siriano.
Di certo non si può pretendere dall’assidua ed encomiabile “resistenza curda” la via per sconfiggere lo Stato islamico, i curdi sono concentrati nel nord-est della Siria e nel nord dell’Iraq, sono abili combattenti e soprattutto ben armati ma non si spingeranno al di là dei territori curdi per combattere una guerra al posto dei governi iracheno e siriano con cui hanno dei pessimi rapporti, da decenni. Questo è un dato incontrovertibile cui l’occidente dovrà prima o poi prenderne atto.
L’errore quindi più importante dell’amministrazione americana è stato non avere una chiara strategia, gli Stati Uniti hanno avviato un programma gestito dalla CIA per armare i ribelli più moderati che combattono in Siria ma i problemi più seri sono stati due: i ribelli moderati in Siria sono ormai pochi e non hanno rilevanza militare, il programma americano sulle armi è così poco esteso e poco chiaro che diversi ribelli che avrebbero dovuto essere coinvolti sono passati a combattere per altre fazioni jihadiste, tra cui lo Stato Islamico.
Nei mesi scorsi si era anche ipotizzato di coinvolgere la Russia e l’Iran per fermare la guerra in Siria, senza contare in maniera un po’ grossolana che Teheran aveva già manifestato di non voler collaborare con gli Stati Uniti su questioni di sicurezza regionale e che i ribelli moderati siriani hanno già fatto sapere che il loro nemico principale – ancora prima dello Stato Islamico – è Assad.
Insomma, il caos regna al momento nell’area e la vittoria di Kobane è servita, forse, a gettare un po’ di fumo negli occhi a un’opinione pubblica internazionale sempre meno illusa.