La follia a volte non è altro che la ragione presentata sotto diversa forma, scriveva il vecchio Goethe. “La pazzia libera dagli affanni”, restituisce sorriso a uomini e dèi, rimette in piedi il mondo con una scrollata di spalle. Questo è l’incipit del testo erasmiano, l’inizio di un sentiero dove si incontrano maestri di pazzia ed esperti di umanità, «come quando, dopo un aspro inverno, di nuovo, a primavera, soffia la carezza di zefiro, tutto lì per lì cambia aspetto e un nuovo colore, come una nuova giovinezza, ritorna». La pazzia chiede di dare ascolto alle sue parole, non come a “predicatori sacri” ma come si faceva “coi ciarlatani di piazza, con i giullari e con i buffoni”, quelli che sanno trovare la vena giusta leggendo il proprio tempo e non prendendosi sul serio.
Francesco Donadio, per decenni ordinario di Storia della filosofia presso l’Università Federico II di Napoli, nel suo nuovo saggio La seduzione della follia. Sulla scia di Erasmo da Rotterdam (Editore Saletta dell'Uva, pp. 85, euro 10. Contatti: 0823.323892 339.3685050; direzione@salettadelluva.it) riscrive, in chiave attualizzante, il testo classico del Rinascimento europeo, Elogio della follia, di Erasmo da Rotterdam, che è una brillante descrizione di ruoli e comportamenti ispirati dalla Follia, osservandone soprattutto i vantaggi della sua azione sui differenti campi da gioco della storia umana. L'intera narrazione ha il sapore dell'ironia e dell'autoironia, che è quel distacco dell'anima che unicamente può alleviare il peso dell'esistenza, la via aurea su cui si annuncia il cammino stesso della ragione, della quale alla fine il testo costituisce un vero inno, perché propriamente non c'è ragione senza ironia.
La Pazzia si riconosce figlia di Pluto, il dio della ricchezza, e della ninfa Neotete, la Giovinezza, a cui si era unito “in dolcezza d’amore”, come si esprime Omero, ma senza restarne inchiodato con “uggioso matrimonio”. Il suo luogo di nascita è invece quello delle cosiddette «Isole Fortunate», «dove tutto vien su senza seme e senz’aratro, dove non si conosce lavoro, vecchiaia o malattia alcuna […] e nascendo in mezzo a tali delizie» ebbe il privilegio di godere del sorriso della madre e del nutrimento di due ninfe: Mete, cioè l’Ubriachezza, e Apedia, cioè l’Ignoranza. Verrebbe da dire che l’origine è futuro o quanto meno già predispone/anela ad esso.
In questo saggio – dedicato al Filosofo Aldo Masullo, maestro nell’esplorare il carattere patico ed errabondo della ragione – Donadio conduce il lettore tra letteratura, filosofia e doni delle arti. Lo fa dal buen retiro di Cardito, con il dono di quella sapienza partenopea che ha l’occhio del presente e la saggezza di secoli di saper vivere. Spiega – senza far pesare il suo sapere – che la pazzia si lascia immediatamente riconoscere, perché non ama/usa imbellettarsi, né camuffarsi sotto mentite spoglie. Ma non solo: la pazzia è smascheramento della pedanteria dei retori, che si gonfiano della vanità di essere sapienti, infarcendo i loro discorsi con qualche parolina latina, meglio ancora se greca, per non dire “tedesca”. Naturalmente la Pazzia riguarda anche le donne, anzi soprattutto le donne, essendo proprio quella qualità che le rende amabili. Senza il condimento della follia persino un convito potrebbe non riuscire gradevole.
Si può indicare come antecedente di questo piccolo Satyricon il testo di Sebastian Brant, La nave dei folli (1494), la prima opera letteraria tedesca di risonanza europea, ma è altrettanto importante sottolineare che i contenuti e gli intenti del saggio di Erasmo non mancheranno a loro volta di suscitare successivi stimoli e sviluppi. La sua eredità spirituale sarà ripresa da Jonathan Swift e Gotthold Ephraim Lessing, da Voltaire e George Bernard Shaw.
A fronte dell’impudica arte di lasciarsi elogiare/lusingare farisaicamente da altri, la pazzia rivendica il diritto dell’autoelogio: «tutti mi onorano con zelo e risentono con piacere dei miei benefizi, ma non si è mai trovato alcuno, in tanti secoli, che, con un grato discorso, abbia celebrato le lodi della pazzia!». Dunque, disponiamoci all’elogio che la Follia fa di stessa, della sua potenza e utilità, ma anche della sua sincerità. «Da me, dice la pazzia, udrete invece un’improvvisata senza studio, e perciò con meno bugie», perché «da vera dispensatrice di beni, che i Latini chiamavano Stultitia e i Greci Morìa», essa rivendica di parlare con spontaneità, così come il cor le detta.
Può essere utile inoltre ricordare che l’Elogio della follia è stato scritto da Erasmo, di ritorno dall’Italia, in circa una settimana, nella dimora campestre di Tommaso Moro ed è a lui dedicato, ma esso deve avere avuto un suo periodo d’incubazione, se appunto cela tutto il carico dell’esperienza accumulata in Italia, in particolare a Roma, osservando i fasti e i nefasti di una società civile ed ecclesiastica affetta da ignari ribollimenti dietro e al di là di una laccata levigatezza e allegra spensieratezza di facciata, l’eredità di una grande civiltà diventata a un tempo raffinata e corrotta, gentile e crudele, amabile e odiosa, attraente e repulsiva.
La Pazzia è l’amalgama capace di rendere saldo e duraturo ogni rapporto tra disuguali (tra re e popolo, servo e padrone, precettore e alunno, persino tra marito e moglie ma anche di renderlo accettabile/gradevole, sul presupposto naturalmente che nessuno potrebbe sopportare l’altro se «a vicenda non s’ingannassero tra loro, non chiudessero un occhio per prudenza, non si adescassero col miele di qualche follia». La Pazzia non esige sacrifici, né che le si innalzino templi. E’ slargo sulla condizione umana, setaccio che passa storie, un dire originario che è sempre umanità. L’ombra della saggezza, la sua messa in scacco, ha il volto della Pazzia, un laboratorio perennemente aperto. Il risultato/dono di una seconda fanciullezza ovvero di una salutare rinascita, il recupero del rumore profondo dell’anima baciata dalla Follia ovvero dalla Grazia.
“Ognuno di noi ha dei ‘pezzi’ di ricerche nel cassetto e quindi da portare finalmente a compimento”, aveva detto Donadio nella sua ultima lezione, il 12 maggio 2010. Ha mantenuto l’impegno, oltre ad averci donato le sue fondamentali ricerche sulle opere del Conte Peter Yorck von Wartemburg. In una cosa però si sbagliava il Filosofo che sorride del mondo: la sua lezione di Vita non è ancora finita. Queste pagine ne sono il segno più bello.