Palermo, 15 settembre 2018 – Palermo regala al Papa e ai fedeli una splendida giornata, tipicamente siciliana. Sono circa centomila le presenze. Quaranta vescovi, settecento sacerdoti, religiose, religiosi e diaconi, duecento seminaristi. Tantissimi i giovani che hanno celebrato una tappa verso il prossimo Sinodo. Nel contesto del Foro italico, il Santo Padre Francesco celebra la Messa, ricordando il 25° anniversario dell’omicidio del beato Pino Puglisi, uomo “mite, ma non ingenuo” come ha ricordato l’Arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice.
Il Pontefice è giunto da Piazza Armerina, ove di buon mattino ha voluto visitare brevemente questa piccola diocesi, situata al centro della Sicilia, ricordando che è il Vangelo la soluzione di ogni crisi personale e sociale. Al Foro Italico, spicca sull’altare il colore rosso dei paramenti dei concelebranti. È il segno del martirio, della donazione estrema della vita per testimoniare la fede. Questo è quello che ha fatto don Pino Puglisi. Lui – ha detto Francesco nell’omelia – «non viveva per farsi vedere, non viveva di appelli anti-mafia, e nemmeno si accontentava di non far nulla di male, ma seminava il bene, tanto bene». Questo perché non è stato un egoista, ma ha vissuto nell’amore di Cristo, perché «il pericolo vero nella vita è non rischiare, è vivacchiare, tra comodità, mezzucci e scorciatoie». Bisogna, perciò, ha pregato Francesco avere «il desiderio di fare il bene; di cercare la verità detestando le falsità; di scegliere il sacrificio, non la pigrizia; l’amore, non l’odio; il perdono, non la vendetta». Infine, sulla scia dei Predecessori, si è rivolto ai mafiosi non con una mera denuncia e neanche con una inappellabile condanna – saranno rimasti delusi forse i “professionisti dell’antimafia” – ma con un appello che apre un percorso educativo e di redenzione, che è possibile e doveroso per i malavitosi: «cambiate! Smettete di pensare a voi stessi e ai vostri soldi, convertitevi al vero Dio di Gesù Cristo! Altrimenti, la vostra stessa vita andrà persa e sarà la peggiore delle sconfitte».
Dopo la celebrazione eucaristica, il Pontefice ha fatto visita alla Comunità di Biagio Conte “Missione Speranza e Carità”, ove ha incontrato gli ospiti della casa e con loro ha voluto pranzare. Quindi subito alle 15 presso Brancaccio, ha sostato in preghiera presso il luogo dell’uccisione di Padre Puglisi, presso la parrocchia San Gaetano.
L’altro appuntamento con il clero, i religiosi e i seminaristi in Cattedrale alle 15,30. Partendo dall’esempio di don Puglisi, il Papa ha consegnato ai sacerdoti due grandi parametri: l’eucarestia e la confessione. Coltivando una spiritualità eucaristica i sacerdoti possono vaccinarsi da tante patologie che potrebbero affliggere il ministero: carrierismo, burocratismo, chiacchiericcio. Ha incalzato Francesco nel suo Discorso – con molte interruzioni in cui ha proseguito a braccio – «si possono fare tante discussioni sul rapporto Chiesa-mondo e Vangelo-storia, ma non serve se il Vangelo non passa prima dalla propria vita. E il Vangelo ci chiedi oggi più che mai, questo: servire nella semplicità»
Infine, a Piazza Politeama l’ultimo bagno di folla siciliano con la Chiesa giovane. Tre giovani pongono delle domande cui il Papa nel suo Discorso risponderà. Prendendo la parola, Francesco confessa una certa stanchezza dopo una intensa giornata, ma col sorriso inizia il suo dialogo con i giovani. «Il Signore non si ascolta stando in poltrona! […] Dio si scopre camminando […] Dio ama l’azione» – così scuote i giovani dell’Isola il Pontefice – «Dio parla ora nella relazione […] vi ama quanto più di quanto voi vi amate». Bisogna così prendere il largo, non stare in panchina o in tribuna. Ma bisogna mettersi in gioco. Il dramma della vita non è donarla, ma non metterci la faccia: «meglio Don Chisciotte che Sancho Panza!» . Camminare, cercare, sognare sono le parole che Francesco consegna ai giovani. Quindi concretamente bisogna favorire gli incontri e ciò deriva dalla fede, perché Dio è venuto ad incontrarci. La Sicilia al centro del Mediterraneo vive questa vocazione. È un popolo con una identità grande. Apertura e accoglienza sì, ma anche integrazione, aggiunge a braccio il Pontefice. Questo è frutto dell’amore «non l’amore sentimentale, da telenovela, ma quello concreto del Vangelo». Su questa scia, dunque, i giovani devono essere «costruttori di futuro» per questo ci vogliono uomini e donne vere. No, dunque, al gattopardismo! I giovani – per Francesco – sono «albe di speranza» e per realizzare ciò occorre rifiutare fatalismo e rassegnazione, perché tutto può cambiare. Si può generare una civiltà nuova, la civiltà dell’amore. Non essere radicati nei valori del popolo cui si appartiene, della famiglia cui si appartiene in dialogo con gli anziani è come essere gassosi. Per combattere la crisi del nostro tempo, in conclusione, occorrono radici da cui può fiorire la speranza per il futuro.