Emigrazione: tre secoli di storia di una famiglia molisana

Il racconto dal Molise all’America nasce in un incontro nella caffetteria di Issaquah

Immagine dei primi anni del Novecento. Lucia Vigliotti con il marito Antonio, la sorella Assunta e il cognato Domenico;Dori Robinson e il marito John nella caffetteria "Starbucks" di Issaquah (Usa), al centro Domenico Logozzo;Dori Robinson con la madre Marie; Lucia Vigliotti con la figlia Marie.

 

L’orgoglio delle radici. La storia di una famiglia di emigranti molisani in America attraversa tre secoli e diventa un libro di ricordi. E il libro sarà il dono di Natale 2017 della nonna “ai figli dei figli”. Per conoscere e per non dimenticare il passato. L’emigrazione italiana, pagine di storia che, dalla fine dell’Ottocento, attraversano il Novecento e approdano nel Duemila. Un fantastico filo ideale tiene unite generazioni e vicende così diverse e distanti, ma sempre ben salde e rispettose dei grandi valori umani, sociali e culturali che le famiglie di un tempo sapevano esprimere, custodire e diffondere. Con umiltà e intelligenza. Iniziamo a sfogliare le prime pagine dell’album della memoria di una famiglia di emigranti molisani con nonna Dori, che abbiamo conosciuto in uno dei più ""moderni locali di ritrovo degli Stati Uniti: una caffetteria della famosa catena “Starbucks”. Il casuale e interessantissimo incontro una mattina di maggio ad Issaquah, graziosa cittadina di quasi quarantamila abitanti, nello Stato di Washington, vicino a Seattle, dove ci trovavamo in vacanza io e mia moglie, ospiti di nostro figlio Francesco. “Scusate se mi intrometto. Sento che state parlando in italiano”, ci dice una gentile signora avvicinandosi al tavolo dove stiamo facendo colazione con tre amici originari del Sudafrica, che sono stati in Italia e hanno avuto una bellissima esperienza. Sono Eugene Olivier, Colleen Le Roux e la figlia Myrl Venter. In particolare Myrl, ci tiene molto ad imparare bene la nostra lingua. Per questo il nostro colloquio avveniva in italiano.

 

Rispondo alla signora: “Io e mia moglie siamo italiani, originari della Calabria e viviamo da oltre 30 anni in Abruzzo”. Mi sorride ed in un italiano un po’ stentato, con tante pause, per ricordare le parole giuste, dice: “Io sono nata negli Stati Uniti, ma sono di origine italiana. Mi chiamo Dori Robinson, abito qui ad Issaquah dove ho insegnato nel liceo. Mia nonna Lucia Vigliotti, è nata a Campobasso; mio nonno Antonio Zampini è nato a Frosolone, in provincia di Campobasso, un paese noto per la produzione di coltelli, da dove sono emigrati nel secolo scorso quelli che poi sono diventati i principali produttori di coltelli degli Stati Uniti. Mia nonna è morta a 101 anni, mio nonno a 97. E di loro ho un magnifico ricordo”.

 

L’Italia che si ama. Che si fa amare. Dori comincia così a sfogliare il bel libro dei ricordi. E fa piacere ascoltarla. E fa piacere questo suo amore per la terra d’origine. “I miei nonni, Antonio e Lucia, erano arrivati a Ellis Island nell'estate del 1906. Con tanti sogni. Molti li hanno realizzati. Mia madre mi parlava e mi parla ancora oggi della storia della famiglia. Ha 93 anni. E’ lucidissima. Viviamo in città lontane, ma ci teniamo costantemente in contatto. Spesso ci scriviamo con la posta elettronica. Mia madre sa usare molto bene le nuove tecnologie”. E poi fa questa riflessione: “Sulla mia famiglia c’è tanto da dire. Ma proprio tanto. Si potrebbe scrivere un libro di storia”. Dico a Dori: “E allora scrivila la storia della tua famiglia, come nel 1992 ha fatto il grande narratore italo-americano Gay Talese con il romanzo Unto the sons (pubblicato poi nell’edizione italiana con il titolo Ai figli dei figli). Intense pagine di storie familiari e del paese paterno, Maida, in provincia di Catanzaro”. Il viso di Dori si illumina: “Sì, sì lo farò”. E ci salutiamo con questa sua promessa.

 

Promessa mantenuta. Rientrato in Italia, ricevo qualche giorno fa questa mail: “Molte grazie per avermi incoraggiata a scrivere la storia della mia famiglia. Volevo farlo da molto tempo. Mia madre, mia figlia ed io abbiamo ricordato in queste settimane la vita dei miei nonni in Molise e poi negli Stati Uniti. Mia figlia è scrittrice e insegnante di inglese a Pittsburgh, e le ho chiesto per questo di fare le opportune modifiche per rendere più scorrevole il racconto. Spero che tu possa fare una buona traduzione, e spero che ti piacerà leggere la nostra storia. Penso di stamparlo questo libro di memorie e di regalarlo per Natale ai miei sei magnifici nipoti”. Mi allega il testo in inglese della “Storia familiare Dal Molise all’America”, raccontata da Marie Zampini Hawkes (figlia di Lucia e Antonio ""Zampini); scritta da Dori Robinson (figlia di Marie). Editore: Jennifer Monahan (figlia di Dori). Inizia con il ricordare gli interessi anche culturali della nonna materna: “Mia nonna, Lucia Vigliotti, aveva avuto il privilegio di assistere alle grandi opere liriche e agli spettacoli che venivano messi in scena a Campobasso sul finire dell’Ottocento. La madre, Gaetana, era una sarta di talento, molto apprezzata, e spesso cuciva i costumi per i protagonisti. Nonna Lucia e le sue sorelle avevano il compito di consegnare i costumi in teatro. Le attrici, sapendo l'amore di mia nonna soprattutto verso le opere liriche, le riservavano sempre posti di riguardo vicino al palco”. Era una famiglia felice. “A Campobasso la vita era buona per mia nonna e le sue sorelle. L’attività andava bene. Sartoria affermata. Abiti ben fatti, buona clientela e le ragazze indossavano vestiti alla moda e in più avevano il privilegio del parrucchiere personale, che ogni mattina andava a casa loro per pettinarle”.

 

Dalla felicità al dramma. “La vita è cambiata in un attimo per la giovane Lucia e per tutta la famiglia. Un tragico incidente sul lavoro. Suo padre, Luigi, famoso artista, perse la vita per il cedimento di un ponteggio sul quale stava lavorando per ultimare l’affresco del soffitto di una chiesa di Campobasso. Era molto apprezzato. Aveva eseguito lavori di altissimo pregio nei maggiori santuari del Sud Italia”. Lucia rimase profondamente segnata da quel terribile evento familiare. “Fu uno dei momenti più tristi nella vita di mia nonna. Perdere suo padre significava la fine della vita serena che aveva conosciuto. Fu costretta a lasciare la scuola, che tanto amava. Rimase a casa per cucire e occuparsi dei fratelli più piccoli, mentre Gaetana lavorava per sostenere la famiglia”. Tempi duri. Molto duri. Così “dopo diversi anni di lotta a Campobasso, Gaetana decise di spostarsi con i suoi figli in un piccolo villaggio di montagna, a Frosolone, vicino ad Isernia. Continuò a cucire costumi per le compagnie teatrali. Lucia e le sorelle, Nanina, Peppina, Amelia e Assunta la aiutavano nella confezione degli abiti e anche nella cura dei fratelli minori, Alfredo, Pasquale e Andrea. Andrea, il più piccolo, era stato colpito dalla polio. Anche se non poteva camminare, era orgoglioso di aiutare l'azienda di famiglia, realizzando con molta precisione e bravura i bottoni per ogni capo di abbigliamento. Purtroppo, a causa della sua malattia, Andrea è morto a 15 anni. Un altro grave lutto. Andrea è stato sempre ricordato con molto amore dalla famiglia”.

 

Il passaggio dalla città al piccolo borgo non fu semplice. Tra i pregiudizi e le incomprensioni che inizialmente non aiutarono purtroppo l’integrazione. “Mentre molti a Frosolone erano stati accoglienti, alcuni non vedevano di buon occhio i nuovi arrivati, quelle ragazze attraenti della "grande città". Le ragazze locali criticavano le loro acconciature fantasiose, sussurrando che portavano i capelli "kinde le vicce"(come i tacchini). Alcuni erano certi che questi “intrusi” erano cittadini snob e che avrebbero guardato con distacco le persone del paese”. Ironia della sorte, tra le donne “poco contente” di questi nuovi arrivi, c’ era anche Concetta Zampini, la mamma di un giovane che sarebbe poi divenuto il marito di Lucia. “Lei e il mio bisnonno Giovanni, possedevano un bottega sulla strada principale del paese. Erano anche proprietari di una piccola fabbrica di coltelli, una delle tante che esistevano a quel tempo a Frosolone, dove si era formati tanti bravi artigiani poi emigrati negli Usa”. Alcuni di loro avevano fatto fortuna, mettendo a frutto quello che giovanissimi avevano imparato dai maestri artigiani del borgo molisano. Riprende Dori: “Antonio, mio ??nonno, era un giovane intelligente e molto conosciuto. Aveva avuto la fortuna di frequentare la scuola del villaggio con gli altri ragazzi fino a 14 anni, quando l’aveva dovuta lasciare per fare coltelli con il padre. A scuola era apprezzato dagli insegnanti. Con orgoglio ci raccontava che non l’avevano mai fatto sedere sulla "cattiva sedia", un piccolo sedile inchiodato alla parete a cinque metri dal pavimento. Questo richiedeva non solo un eccellente equilibrio, ma anche una concentrazione ininterrotta, per evitare di cadere giù e riportare gravi lesioni o anche peggio! Antonio non era perfetto, e occasionalmente gli piaceva saltare la scuola per andare in un vicino stagno e catturare le rane per il pasto serale della famiglia. C’era poco da mangiare e la mia bisnonna non perdeva niente dei “contributi di cibo” che venivano da mio nonno”.

 

Nella realizzazione dei pregiati coltelli “Antonio ben presto era diventato un artigiano esperto”. Lavorava sodo e “la mattina presto la sorella Teresa scendeva in officina per aiutarlo. Non c'era la corrente elettrica a Frosolone. Per azionare le macchine, Teresa spingeva con i piedi un pedale, che faceva girare la cinghia di affilatura. Teresa era una ragazza e le ragazze non era previsto che lavorassero in fabbrica, né che venissero obbligate a farlo. Ma siccome vedeva che Antonio aveva molto da fare, lei si era impegnata ad aiutare il fratello maggiore”. Senso di responsabilità e grande sensibilità. Ragazza forte, generosa e sfortunata. Purtroppo. Teresa, operata di appendicite, pur non essendo ancora del tutto guarita, fece l’imprudenza di andare con le sue amiche in pellegrinaggio nel santuario alla Beata Vergine Maria che si trovava in montagna. “Quando tornò a casa, si ammalò e morì in pochi giorni per una fatale infezione della ferita che non si era ancora rimarginata”. Una perdita dolorosa. “A mio nonno mancava molto Teresa. Diventava triste ogni volta che parlava della sua amata sorella”.

 

Dori racconta come è sbocciato l’amore tra nonna Lucia e nonno Antonio. “Mia nonna e le sue sorelle aiutavano la madre anche nel lavare i panni presso la Fontana in pietra, che si trovava nel centro del paese. Un giorno, mentre mia nonna camminava sulla strada principale di Frosolone con il suo cesto di panni, nonno Antonio la vide dalla finestra della bottega e rimase colpito dalla sua bellezza. La leggenda famigliare dice che in quel momento Antonio promise a se stesso: “Sarà mia moglie, la compagna di tutta la mia vita". Quella fontana che ha fatto nascere il lunghissimo e solidissimo amore tra i nonni, Dori l’ha vista un secolo dopo, quando per la prima volta nel 2006 è venuta in Italia. “Avvicinandomi a piedi alla grande fontana nel centro di Frosolone, mi sono emozionata. Tanto, ma proprio tanto. Ho ripensato al lontano passato. Ai miei cari nonni. Sono sensazioni che è difficile descrivere, mettere su un foglio di carta. Vengono dal profondo del cuore. Diventano incancellabili. Restano per sempre dentro. Come l’accoglienza che ho ricevuto nel Molise, una terra che non avevo mai visto prima. Confesso di essermi sentita nella mia terra, come se fossi a casa mia”. Ricorda altre emozioni vissute in quel viaggio del 2006 con il marito. “Sul treno per Campobasso, vedendo dal finestrino quelle case e quei campi che avevo immaginato attraverso le storie che mi raccontava mio nonno, sono rimasta affascinata. Sognavo. Mi domandavo: Quella vecchia casa sarà appartenuta ai miei bisnonni? Forse la mia nonna ha giocato in quei campi?”

 

Ritorniamo al racconto del fidanzamento dei nonni. “Come si usava allora, Antonio si fece aiutare da alcune amiche del paese per organizzare l’incontro con Lucia e con la sua famiglia. Si racconta che appena Lucia lo vide, decise che sarebbe stato l’uomo della sua vita. La madre aveva però un piano diverso: un ricco signore, più anziano, che aveva espresso interesse per la mia bella nonna. Gaetana disse alla figlia: "È meglio essere la bambola di un vecchio ricco, invece che serva di un giovane povero". Lucia rifiutò i ""tentativi della madre di organizzare il matrimonio. La vita in casa divenne difficile. Ma alla fine l'amore trionfò. Lucia e Antonio si sposarono nel dicembre del 1905 in una piccola chiesa di Frosolone”. Gli inizi furono difficili per via delle interferenze dei genitori di Antonio. “Vivere con la madre e il padre di Antonio non era il modo in cui Lucia sperava di iniziare il suo matrimonio. Concetta, la madre di Antonio, non era felice per la scelta del figlio. Continuava a spettegolare nel paese. Parole non belle nei confronti della famiglia della nuora. Quando mia nonna venne a saperlo ci rimase molto male, tanto che ci fu anche una piccola crisi familiare. Mio nonno era molto arrabbiato con la madre. Le disse che non doveva mai più parlare male della moglie, altrimenti non le avrebbe permesso di uscire di casa”. E dalle parole Antonio passò anche ai fatti. “Inchiodò la porta, ma per poco tempo”. Una “lezione” che diede i risultati sperati: “Concetta da allora fu più attenta e non fece più commenti negativi”.

 

Qualche tempo dopo in casa Vigliotti arrivò la bella notizia. “Mia nonna aspettava un bambino. Con mio nonno cominciarono a pensare al cambiamento, ad una nuova vita, in un altro Continente. E non era una decisione facile da prendere. Antonio e Lucia sapevano che erano stati in tanti che avevano cercato un lavoro in America, ma erano tornati a casa solo con storie tristi. Tra questi il loro cognato Luciano, marito di Peppina”. Luciano in America non fece fortuna. La sua amarezza la affidò ad una canzone autobiografica, in dialetto molisano, dal titolo “Song of Luciano”. Iniziava così: “Pens 'a la mia moglia abbracciatta (Sto pensando all'abbraccio di mia moglie). E mii figli accompianiatta. (E la compagnia dei miei figli)”. Concludeva: “Pens a l'Italia bella (Penso alla bella Italia). Sanni io calzone, aggio torna’ (Anche se senza i miei pantaloni, tornerò)”. E Dori ora ricorda che Luciano “tornò a casa solo con gli abiti che indossava, grato, a quanto pare, di avere quelli”.

 

Antonio era già stato in America ed il padre, che aveva vissuto a lungo oltre Oceano, oramai anziano, era rientrato in Italia e l’aveva incoraggiato a ripartire. Nel Sud in quegli anni c’era tanta miseria e non esistevano opportunità di lavoro tali da consentire di portare decorosamente avanti la famiglia. Il viaggio della speranza di Antonio e Lucia iniziò nel maggio del 1906. “Altri due figli del Molise, partirono dal porto di Napoli con tanti sogni. Viaggio attraverso l'Oceano Atlantico per costruirsi una nuova vita negli Stati Uniti”. Nei primi tre mesi furono ospitati da una zia di Antonio. Poi si trasferirono in un loro appartamento. Nell’inverno del 1906 è nata la prima figlia, Concetta, alla quale era stato dato il nome della nonna. Poi sono nati Giovanni, Luigi, Gaetana (Ida), Guido e Marie, la mamma di Dori. “Antonio, facendo affidamento sull’esperienza lavorativa di Frosolone, aveva trovato lavoro nelle industrie di coltelli di Providence, capitale dello Stato del Rhode Island. “Alcuni suoi amici compaesani avevano fatto fortuna dando vita anche a industrie di grande successo come Imperial Knife Company e Colonial Knife Company. Produzione qualificata, livelli altissimi, notorietà mondiale. Il figlio di un suo amico, William D'Abate, a Frosolone finanziò la realizzazione della rete elettrica. E per dimostrare la loro gratitudine, i molisani di Providence gli intitolarono una scuola”.

 

Dori è orgogliosa di mamma Marie. “E’ stata la prima della famiglia a frequentare il college e laurearsi nel 1944. Sul finire degli Anni Quaranta incontrò mio padre Al, che si convertì al cattolicesimo per potersi sposare in chiesa nel 1950. L’anno dopo nacqui io, quindi mio fratello e poi mia sorella”. Una famiglia unita, nel rispetto delle tradizioni. “Ricordo gli incontri domenicali con le zie, gli zii e i cugini nella casa dei nonni a Providence. Deliziose cene con spaghetti, tanto sugo, polpette, carne di maiale, pollo, agnello e pane croccante. "Un dito di vino” anche per i più piccoli. Tante storie familiari che venivano raccontate in belle conversazioni e tante risate. E sempre una partita di baseball in TV!”. Ricorda il giorno del matrimonio con John. “I miei nonni, novantenni, sembravano ragazzini. Avevano ballato tanto. In pista solo loro, applauditi festosamente da tutti gli invitati. Tanta gioia. Sì, proprio una bella festa. Lacrime di felicità nel vedere quella dolce coppietta di anziani. A quell’età, tanta vitalità! Abbiamo avuto due figli, Jennifer e John, che ci hanno regalato la gioia di essere nonni felici di sei nipoti”. Durante l’incontro nella caffetteria “Starbucks”, Dori ci aveva spiegato perché aveva problemi nel parlare la nostra lingua. “A nessuno di noi figli mia madre ha insegnato l’italiano. Diceva che quando era bambina le coetanee la prendevano in giro perché parlava “una lingua diversa”. Perciò voleva che noi parlassimo solo in americano. E allora feci una promessa a me stessa: quando sarò grande imparerò l’italiano”.

 

E così è stato. “Ho seguito le lezioni di italiano al Bellevue College, lo stesso che ha frequentato la vostra amica Myrl Venter”. Dori ha anche voluto coronare i lungo sogno di conoscere i luoghi molisani da dove erano partiti gli adorati nonni. E nel 2006 il sogno è divenuto: dall’America al Molise dopo essere stata a Verona, Firenze, Campobasso e infine a Frosolone. “Nel Molise tutti gentili e disponibili. Ci hanno accolto come vecchi amici. Nella coltelleria di Rocco Petrunti, fondata nel 1800, ho acquistato i regali da portare negli Stati Uniti. Mi sono commossa al pensiero che la famiglia di Rocco Petrunti aveva conosciuto la mia oltre cento anni fa”. E con quest’ultima emozione, ben custodita nell’album della memoria, è ritornata negli Stati Uniti” con l’Italia nel cuore. L’Italia ben raccontata dal giornalista e scrittore abruzzese Goffredo Palmerini, nel suo recente libro che porta questo magnifico titolo, omaggio “agli 80 milioni di italiani che amano il nostro Paese più di noi che vi abitiamo”. E la conferma ci viene da questa storia d’amore per le radici che ci ha raccontato Dori. Per questo, come ha scritto Palmerini, dobbiamo “amare, rispettare e trasmettere a chi verrà, possibilmente più bello e migliore, il nostro meraviglioso Paese”.

 

*già Caporedattore TGR Rai

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