Roma – Il 26 gennaio è la ricorrenza della battaglia di Nikolajewka: a seguito di quel giorno del 1943, dalla prima linea fino ai lager sovietici, furono migliaia le morti a seguito di questa battaglia. Lo storico Vincenzo Di Michele ci racconta alcuni episodi di questo capitolo, ancora poco conosciuto, ma che però fa parte della sanguinosa storia dell' Italia.
"Il contingente italiano che partì per la Russia fu di 220.000 uomini. Le perdite, fra mortie feriti, furono oltre la metà. La dura sofferenza degli italiani tutta descritta nei ricordi di Giulio Bedeschi in quel "Centomila gavette di Ghiaccio " iniziò con la ritirata di Russia e a seguire nella cruenta battaglia di Nikolajewka dove i nostri soldati riuscirono ad aprirsi un varco e a trovare la via di salvezza verso l'Italia" racconta Di Michele. "Per quelli che invece furono fatti prigionieri fu l'inizio di una vera odissea tra fame, malattie e sofferenze di ogni genere. Si riscontrarono persino episodi di cannibalismo – racconta Vincenzo Di Michele nel libro "Io Prigioniero in Russia" – e molto altro ancora, riportando per l'appunto la testimonianza scritta di un reduce "Alpino della divisione Julia" che fu internato nel lager di Tambov e poi trasferito in Siberia e infine nei campi di cotone del Kazakistan: l'alpino fu uno dei pochi a tornare vivo in patria seppur invalido". "Ma anche la Russia si trovò con un alto numero di prigionieri ed ebbe delle reali difficoltà nel curarli e sfamarli – commenta Di Michele – e poi non si deve dimenticare il sacrificio delle donne russe che con un cuore da grandi mamme, tolsero il cibo ai loro figli per sfamare i nostri soldati". Dopo la guerra furono vani i tentativi delle autorità italiane di avere notizie dei prigionieri. Le principali critiche si incentrarono su Palmiro Togliatti, membro importante dell'Internazionale Comunista. Solo dopo il 1989, caduto il comunismo, è iniziato il rimpatrio delle salme e le ricerche dei tanti dispersi continuano ancora tutt'oggi, tanto che pochi mesi or sono è stata individuata una grande fossa comune, un gigantesco cimitero nella steppa russa a circa 800 chilometri a nordest di Mosca, che si calcola sia lungo cinquecento metri e largo un centinaio.