Di Pietro fra Concettualita’ e Concretezza

Recensione di Sergio Spadaro

   Il sanfratellano Benedetto Di Pietro, conosciuto come l’unico letterato che legge e scrive nel dialetto galloitalico del suo paese (sul quale ha all’attivo, insieme con i proff. S.C.Trovato e V.Orioles,dei dotti studi e dei ricchi repertorî), pubblica una silloge di versi intitolata Risoluzioni involutive (Promethesus, MI, 2016), con prefazione di Francesco Solitario, dell’Università di Siena. Il uale spiega l’interna contraddizione del titolo hegelianamente, e perciò in grado di cercare, o trovare, quella ‘sintesi dialettica’ che è costituita dal “punto di equilibrio esistenziale”. Il prefatore rintraccia nei versi di Di Pietro, non soltanto dal titolo ‘filosofico’ della raccolta, un “tessuto di pensiero”, che trova il suo nucleo più caratterizzante nel tema del “tempo”, che si estrinseca poi nell’ ''quazione tempo-memoria''. Anche se la vera cifra che informa tutta la raccolta è poi vista in quella “sicilianità” di Di Pietro come “uomo strappato alla sua terra d’origine”. E afferma: “Non si può vivere da siciliano, senza continuare ad esserlo per sempre”. Richiamando infine Gesualdo Bufalino, che sosteneva essere ogni siciliano “una irripetibile ambiguità psicologica e morale”, interpreta la lirica di Di Pietro quasi come un inno alla Sicilia perduta, alla maniera di Ibn Hamdìs (pure citato in un testo da Di Pietro).

   Ma l’ossimoro del titolo della raccolta non è che poi denunci, nei versi di Di Pietro, un sistema di pensiero basato sulla contraddizione, che resta in verità isolata a sporadici esempi. Nella raccolta ci sono infatti vari registri, a cominciare dall’ironia del testo iniziale, dove, se il Padreterno ha creato l’uomo, dev’essere stato “in un momento di follia totale”. Così, in Cantastorie, non si può “cambiare il mondo”, perché “l’uomo inventa la sua storia / e la subisce”. E’ anche più scontata la recriminazione contro gli odierni “kamikaze”, che dicono di voler “liberare il popolo” e in verità gli fanno solo del male.

   Il prefatore coglie comunque nel segno sul sentimento del tempo, molto acuto, nei testi di Di Pietro. Evidenziato già fin dall’inizio, nel testo Autunno, che paragona caduta delle foglie e caduta degli uomini, come nella poesia “classica” di Mimnermo (frammento 2, Diehl-Beutler). Come in Block notes, in cui le notazioni del passato sono “bacheche della memoria”. E su questa discesa memoriale, alla stregua di un piano inclinato, vengono rievocati momenti e persone del vissuto biografico: le Nuccia e Angelina dei testi omonimi, il momento doloroso del trapasso della madre (Una strana veglia), i ferry boat di un tempo, nel primo dopoguerra, quando frotte di donne calabre, con le tipiche gonne plissettate, facevano il contrabbando del sale fra le due sponde dello Stretto o, al massimo, si limitavano a portare ceste di arance. Oppure, il bosco e il paese natio (Paese d’aprile), dove anche le nuvole che trasmigrano “consociano con la vita”, o di quando, da ragazzo, veniva abbattuta una nottola “con ali di velluto” (Nottola).

   La terra d’origine è comunque vista anche nei suoi riflessi storico-antropologici di oggi, o come luogo di transito e d’approdo attraverso le sue sponde (Mare) o come luogo di diaspora nei secoli (Strade di Sicilia): l’isola, infatti, “non conosce differenze / nel dolore delle diaspore” ( Pianto ricorrente). Nelle quale, magari, qualche vu cumprà odierno vende aquiloni sulla spiaggia d’estate,sperando che qualche bagnante gliene compri uno.

   Ma ci sono momenti e rispecchiamenti lirici che non riguardano la Sicilia. Come quelli vissuti ad Anagni, quando si poteva annusare “l’odore della nepitella / sulle mura pelasgiche” (Risveglio ad Anagni ) o a San Vito Chietino, di fronte ai “trabocchi” sospesi sul mare. Così come ci sono momenti più “speculativi”, come in Enigma, dove Di Pietro fa l’elogio del postulato di Euclide (ma oggi assistiamo allo sfondamento del metodo assiomatico della geometria euclidea, con la costruzione di sistemi geometrici alternativi).

    In generale, le liriche di Di Pietro oscillano tra un linguaggio con significanti concettuali (quelli indicati dal prefatore come “tessuto di pensiero”) e un linguaggio più piano e specificativo, perché basato su referenti ‘cosali’ e quotidiani (quelli che noi preferiamo, perché la poesia vive sempre nel concreto). Di Pietro usa il verso libero novecentesco, anche se ogni tanto non disdegna occorrenze rimate (in Poesia perduta: le coppie “rabbia/sabbia” , “lagna/ristagna”, “poesia/fantasia”, “convenzioni/innovazioni”).      Di Pietro può concludere di sentirsi “nomade in questo mondo”, ma non dimentica mai “che di polvere è fatto l’uomo / ma anche di luce e di colore”.

     

BENEDETTO DI PIETRO, Risoluzioni involutive, Prometheus, MI, 2016, € 10,00.

 

 

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