MAXXI di ROMA, Architettura in Uniforme, a cura di Jean Louis Cohen

Una mostra che racconta una fase di ricerca e trasformazione dell'architettura quando tra il 1939 e il 1945 tutti e quattro i continenti furono messi a ferro e a fuoco dalla Seconda Guerra Mondiale.

Roma. Sperimentare nuovi materiali e tecniche costruttive, inventare forme di
mimetizzazione, progettare strutture gigantesche per la produzione e i test bellici ma anche per i campi di
concentramento, modernizzare le tecniche costruttive e il modo di lavorare, usare l’informazione e la
propaganda, salvare i monumenti dai bombardamenti.

La mostra [b]Architettura in uniforme.[/b] Progettare e costruire per la seconda guerra mondiale, al [b]MAXXI[/b]
dal [b]19 dicembre 2014 al 3 maggio 2015,[/b] esplora che cosa è successo all’architettura durante la Seconda
Guerra Mondiale e i diversi modi in cui gli architetti sono stati coinvolti e hanno lavorato, in ogni Paese.

A cura di [b]Jean Louis Cohen, [/b]Architettura in uniforme è stata concepita e realizzata dal Canadian Centre
for Architecture di Montreal, e adattata dalla Cité de l’Architecture et du patrimoine a Parigi e dal
MAXXI a Roma.
La mostra, organizzata nell’edizione italiana dal MAXXI Architettura diretto da Margherita Guccione, si
basa su decenni di ricerche d’archivio e sul campo, e racconta una fase di grande ricerca e profonda
trasformazione dell’architettura quando tra il 1939 e il 1945 tutti e quattro i continenti furono messi a ferro e
a fuoco dalla Seconda Guerra Mondiale.
Molti gli architetti che partecipano ai combattimenti, mentre altri continuano la loro attività professionale
mettendola al servizio delle necessità del momento. La modernizzazione tecnica iniziata negli anni Venti
viene portata avanti con ricerche e programmi innovativi, la guerra “sfrutta” ogni forma di competenza
architettonica: tecniche costruttive, visive, organizzative e manageriali.
Alcuni tra i più importanti architetti del Movimento moderno sono coinvolti direttamente in progetti per i vari
programmi bellici: da Auguste Perret e Le Corbusier a Walter Gropius, Mies van der Rohe, Richard Neutra
e Louis Kahn. Loro disegni originali sono esposti in mostra.
Con l’ideazione di edifici giganteschi, come il Pentagono o la fabbrica di Oak Ridge dove fu costruita la
bomba atomica, e la pianificazione di interi territori proibiti, cambiano le dimensioni della progettazione,
cambia la stessa progettazione urbana, architettonica e paesaggistica che ebbe un ruolo importante anche
nell’ambito di imprese criminali come i campi di Auschwitz.
Dal 1945 l’architettura moderna regna incontestata in tutto il mondo, salvo, per un breve periodo, nel
blocco sovietico: vengono tracciati piani per il futuro del mondo e disegnate le planimetrie di città nuove.
Dopo il conflitto gli architetti applicano a scopi residenziali e urbani i metodi elaborati in quegli anni,
rendendo evidente come la guerra avesse trasformato non solo il modo di progettare e costruire gli edifici,
ma il modo stesso di pensare.
“Più che chiarire le vicende di un momento storico trascurato dalla maggior parte dei racconti storici, e di
evidenziare progetti sconosciuti o interpretati solo in maniera parziale, la mostra mette in evidenza la sfida
etica che la guerra ha rappresentato per gli architetti. – Dice Jean-Louis Cohen curatore della mostra –
Dai criminali di guerra, come Albert Speer, ai resistenti come il Polacco Szymon Syrkus, il quale è
sopravvissuto lavorando come progettista del lager di Auschwitz, viene percorso l’ampio spettro delle
esperienze umane di quegli anni.”
“Questa mostra rende molto bene l’idea di come è necessario uscire dagli stereotipi della storia e
riaccendere l’attenzione su un momento cruciale per l’architettura del 900 e per i suoi effetti sulla cultura successiva.

– Dice [b]Margherita Guccione[/b], [b]Direttore MAXXI Architettura[/b] – Il ricchisssimo percorso espositivo sulla mobilitazione degli architetti negli anni della guerra, integrato in questa edizione da molti
materiali italiani, è il risultato di una grande ricerca e della collaborazione del Museo di architettura con
due tra le più prestigiose istituzioni internazionali, il CCA di Montreal e la Citè de l’architecture di Parigi."

Aggiunge il [b]Direttore del CCA[/b], [b]Mirko Zardini[/b]: “Le mostre e i progetti del CCA indagano spesso temi poco
noti che possono informare e arricchire il dibattito contemporaneo sull’architettura e la sua pratica.
Architettura in Uniforme affronta una vasta zona grigia della nostra disciplina e offre nuove prospettive; la
guerra non servì solo come acceleratore di innovazione tecnologica, ma coinvolse gli architetti in una
struttura militare con precise responsabilità sociali, politiche e morali i cui effetti si sentono ancora oggi”.
Un immenso repertorio di esperienze compone il racconto della mostra, organizzato in 14 temi che ne
costruiscono il percorso e illustrano quanto furono varie le attività architettoniche condotte dalle nazioni
belligeranti, dagli Stati Uniti al Giappone, dal Regno Unito alla Francia, dalla Germania, alla Polonia e
l’URSS.

[b]I temi della mostra [/b]includono le esperienze personali di architetti come Ernst Neufert che collabora con i
Nazisti e di quelli che combattono nella Resistenza, come Ludovico di Belgiojoso; il modo in cui città come
Roma, Milano o Londra rispondono agli attacchi aerei; lo sviluppo gigantesco delle fabbriche come si vede
ad esempio nei progetti di Albert Kahn a Detroit e nel Middle West; il contributo di Erich Mendelsohn alla
sperimentazione delle bombe incendiarie al poligono di Dugway, nello Utah; la ricerca sviluppata nel
campo della percezione visiva per realizzare la mimetizzazione di paesaggi e luoghi di guerra, di cui sono
esempio i progetti di Hugh Casson per gli aeroporti di Gloucestershire. La comunicazione e la
propaganda, che utilizzano media differenti come manifesti e film, vengono raccontate attraverso il lavoro
di designer come Norman Bel Geddes. Infine, caratterizzano la mostra, oggetti disegnati o che si sono
diffusi negli anni della guerra, come il tutore ortopedico di Charles e Ray Eames o la jeep Willys.
Si passa poi alle storie di prigionia, al processo di Norimberga, allestito dal paesaggista Dan Kiley, per
giungere infine all’architettura del dopoguerra e della memoria.

[b]Un’enfasi particolare viene dedicata all’Italia,[/b] sia prima che dopo l’armistizio del 1943, raccontata da video
d’epoca, fotografie, progetti, documenti, tra cui le immagini del David di Michelangelo avvolto da protezioni
contro i bombardamenti, i taccuini di Bruno Zevi e Ludovico Quaroni, i progetti per Tirana di Gherardo
Bosio, la Littorina (la bicicletta realizzata in alluminio e legno per ovviare alla mancanza di metalli utilizzati
per gli armamenti), il Monumento ai caduti delle Fosse Ardeatine di Mario Fiorentino e Giuseppe Perugini,
e molto altro.

[b][u]I 14 temi della mostra:[/u][/b] Architetti in uniforme – Guerra alle città nelle città – Il fronte interno e l’autarchia – Il
fronte industriale: produrre e dare alloggio agli operai – Fortificazioni e progetti di guerra – La protezione
antiaerea – Il camouflage, ovvero disegnare l’invisibile – Al servizio della comunicazione – Quattro macro
progetti – Architetture dell’occupazione – Architetti e prigionieri – Processo di Norimberga – Immaginare il
dopoguerra e riciclare le tecnologie militari – Architettura della memoria.

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