Un tempo meta popolare sia per i visitatori occidentali che per quelli indiani, il Kashmir è ormai una regione isolata e occupata militarmente da più di un anno. In primo luogo, l’India ha fatto entrare le forze di sicurezza per reprimere la regione mentre la sua autonomia veniva cancellata. Poi il coronavirus ha colpito. Ora la regione, fortemente dipendente dal turismo, è stata quasi completamente isolata, con i soldati che hanno riempito le strade.
Il conflitto del Kashmir è forse una delle guerre più oscure del mondo, con recrudescenze riproposte nel corso degli anni a seconda delle differenti politiche dei due Paesi che si contendono il territorio, India e Pakistan, con la Cina inquietantemente presente e indirettamente, ma neanche troppo, partecipe.
È una terra molto importante per via della sua posizione strategica ed è stata da sempre apprezzata anche a livello turistico. Tuttavia, soprattutto negli ultimi anni ha assistito a un’escalation di violenza e repressione mai vista prima, rendendo i kashmiri, indiani e pakistani, una delle popolazioni più silenziosamente vessate del globo. Da ultimo, anche la crisi pandemica ha dato il suo contributo a destabilizzare completamente le condizioni di vita in Kashmir.
Per comprendere al meglio quale sia la situazione attuale, soprattutto della parte di Kashmir occupata dal Pakistan è utile fare un salto indietro, non esaustivo, ma di almeno 4-5 anni.
In generale il territorio del Kashmir controllato dal Pakistan è formato dall’Azad Jammu e Kashmir (comunemente chiamato Azad Kashmir, AK o AJK) e dal Gilgit-Baltistan (GB), in passato denominato Territori del Nord. Entrambe le regioni hanno un’amministrazione parzialmente autonoma (come d’altronde il Kashmir indiano), anche se l’influenza del governo e dell’esercito pachistano è particolarmente forte, soprattutto nell’AK. L’AK ha una popolazione di circa 4,5 milioni di persone. Il GB ha circa 1,8-2 milioni di abitanti.
Nel corso del 2016, la situazione alla Linea di controllo che divide il Kashmir indiano da quello pakistano si è intensificata. Dopo un attacco contro la base dell’esercito Uri, l’India ha condotto altri attacchi transfrontalieri in AK. Alla fine del 2016 sono continuati gli scontri a fuoco lungo la Linea di controllo, nonostante il cessate il fuoco concordato nel 2003.
Le relazioni tra Pakistan e India sono state molto tese nel 2018, nonché nei primi mesi del 2019. Infatti, i bombardamenti transfrontalieri si sono intensificati nel 2017 e nella prima metà del 2018. Ma sono soprattutto gli attacchi dei gruppi militanti alle basi dell’esercito indiano ad aver complicato ulteriormente i rapporti tra i due Paesi. L’India sostiene infatti che i gruppi militanti con base in Pakistan siano responsabili di questi attacchi. Gruppi militanti come Hizb-ul-Mujahideen (HM), LET e JEM sono da sempre attivi nella regione. Il Long War Journal ha riferito che il Pakistan permette a questi gruppi di avere le loro basi nella zona. D’altronde l’esercito pakistano ha creato il Consiglio della Jihad Unita, un’organizzazione ombrello guidata da Syed Salahuddin, il leader di HM. Il Consiglio della Jihad Unita coordina le attività dei gruppi militanti che operano nel Jammu e Kashmir. Un articolo del febbraio 2018 del Centro per la lotta al terrorismo menziona che “la presenza dello Stato islamico nella regione è progredita gradualmente nel corso del 2017”. Inoltre, un rapporto d’inchiesta dell’HRCP del marzo 2017 ha documentato violazioni dei diritti umani da parte dei servizi segreti e delle forze dell’ordine nel Gilgit-Baltistan.
Secondo numerose fonti internazionali, la situazione in Kashmir resta volatile lungo la linea di confine/controllo (LoC). Il PIPS ha contato 131 attacchi sul confine con l’India. Nella prima metà del 2018, PIPS menziona un solo attacco in AK, mentre nello stesso periodo calcola 76 incidenti violenti lungo il confine tra Pakistan e India. Il 3 agosto 2018, almeno dodici scuole sono state bruciate nel distretto di Diamer, nel Gilgit-Baltistan.
Quanto all’impatto della violenza sulla popolazione civile, nel 2017, il CRSS non ha documentato numerose vittime in Azad Kashmir. Nel 2017, in Pakistan, gli attacchi transfrontalieri con l’India hanno causato la morte di 69 persone, mentre 245 sono rimasti feriti. La maggior parte degli attacchi transfrontalieri si è verificata a Bhimber, Kotli e Poonch. Il bombardamento transfrontaliero ha un impatto sui civili che vivono vicino alla LoC. Il governo civile rimane assente in queste aree. Secondo un rapporto di Action on Armed Violence (AOAV) nel maggio 2018, il bombardamento transfrontaliero ha un impatto sull’educazione nell’area, soprattutto perché ha portato alla chiusura di molte scuole.
Nel suo Rapporto globale sul dislocamento interno per il 2017, l’IDMC ha affermato che tra luglio e settembre 2017, 57.000 persone hanno lasciato le loro case a causa di bombardamenti transfrontalieri nei settori di Abbasur e Sialkot in Azad Kashmir. Nel rapporto per l’anno 2019 la medesima organizzazione ha stimato ha stimato 16.000 sfollamenti associati a conflitti e violenze in Pakistan nel 2019. Ben 15.000 di questi sono stati il risultato di un aumento dei bombardamenti transfrontalieri attraverso la linea di controllo che divide Azad Jammu e Kashmir amministrati dall’India e dal Pakistan. Gli spostamenti si sono verificati a seguito di un attacco suicida al personale di sicurezza indiano nella regione amministrata dall’India da parte di un gruppo armato non statale con sede in Pakistan nel febbraio 2019. Dopo aver trovato protezione in famiglie ospitanti e nei campi, la maggior parte degli sfollati è tornata al luogo di residenza abituale entro una settimana.[1]
Tra il 2018 e il 2019, nella parte indiana, lo stato del Jammu e Kashmir, ci sono state 586 vittime, tra cui 160 civili, 267 ribelli e 159 membri delle forze di sicurezza. Ciò costituisce il maggior numero di vittime dal 2008. Inoltre, sono state impedite le libertà di opinione e di riunione. I giornalisti sono minacciati e costretti ad autocensurarsi, alcuni dissidenti sono scomparsi.
Secondo le fonti più recenti consultate, nel 2019 sono stati registrati 123 attacchi transfrontalieri da parte dell’India, 117 si sono concentrati lungo la LoC in 11 distretti di AJK e un distretto di KP (Mansehra). Sei di questi attacchi sono avvenuti a Sialkot lungo la linea di confine (c.d. Working Boundary secondo il Pakistan, perché in fase di definizione, mentre è International Boundary, già definita, secondo l’India), 33 attacchi si sono verificati a Kotli, 22 a Bhimber, 16 a Poonch, 10 a Haveli e 10 Neelum. Gli attacchi in questa zona sono in aumento rispetto all’anno precedente in cui il PIPS ne aveva registrati 109.[2]
Le fonti riferiscono che nel 2020 sono aumentate le violazioni del cessate il fuoco lungo la linea di confine tra India e Pakistan. A Jammu e Kashmir, nel febbraio 2020, le forze di sicurezza indiane hanno aperto il fuoco in una manifestazione tenuta per l’anniversario della morte di un separatista del Kashmir e fondatore dell’organizzazione militante Fronte di liberazione nazionale, ferendo numerosi manifestanti.[3]
Secondo le fonti più recenti, il conflitto in Kashmir tra India e Pakistan ha raggiunto nuovi livelli di violenza, specialmente lungo la Line of Control e nella zona controllata dall’India. Secondo le fonti consultate, nel primo quarto del 2020 sono stati registrati 30 eventi violenti e circa 50 persone uccise, tra cui anche militari, forze di sicurezza e militanti.
A ciò si aggiunga, come premesso, che a seguito dell’imposizione del lockdown per far fronte alla pandemia di Covid-19, si sono registrati 80 eventi e 140 persone uccise nel secondo quarto dell’anno. Secondo alcune fonti, l’India ha approfittato delle misure di lockdown imposte per impiegare più risorse contro la militanza presente nella regione.[4] Vengono riportati numerosi appelli rivolti nei confronti dell’India al fine di allentare le restrizioni imposte nel territorio di Jammu e Kashmir e di porre fine alla preoccupante situazione dei diritti umani in tale territorio aggravata ulteriormente dalla pandemia di Covid-19.[5]
Infatti, la situazione nel kashmir indiano è stata caratterizzata da un’imposizione massiccia di restrizioni già a partire dal 5 agosto 2019, definito uno dei giorni più bui della democrazia indiana. Infatti, il governo nazionalista dell’India ha cancellato unilateralmente l’autonomia della regione del Kashmir (che durava da più di 70 anni), inviando migliaia di truppe dell’esercito per sedare eventuali disordini. Le autorità governative hanno tagliato le connessioni internet, le linee telefoniche mobili e persino quelle terrestri, gettando il Kashmir in un buco nero di informazioni che ha reso molto difficile discernere ciò che stava accadendo. Quindi per i kasmiri è stato impossibile comunicare quanto gli stava accadendo, mentre i politici che si opponevano a tale regime venivano sistematicamente arrestati. Per anni i nazionalisti indù indiani hanno voluto limitare le libertà speciali di cui gode il Kashmir, un territorio montuoso, prevalentemente musulmano, che si è trasformato così in una polveriera tra India e Pakistan.
Con l’imposizione del lockdown in tutto il territorio kashmiro, la situazione della regione è attualmente disastrata. Le strade sono piene di soldati. I bunker militari, rimossi anni fa, sono tornati, e in molti punti bloccano la strada. Sulle autostrade, i soldati fermano i veicoli dei passeggeri e trascinano fuori i pendolari per controllare le loro carte d’identità. La scena ricorda gli anni Novanta, quando scoppiò un’insurrezione armata e il governo indiano dispiegò centinaia di migliaia di soldati per schiacciarla.
Tuttavia queste recrudescenze sono divenute oramai normali e appartenenti all’essere della regione del Kashmir. Entrambe le fazioni sostengono il proprio dominio sulla regione nella sua interezza, basandosi su questioni storico-imperialistiche, appartenendo la regione all’immenso Impero delle Indie Britanniche, o su questioni etnico-religiose, essendo in tutto e per tutto i kashmiri musulmani e molto più vicini ideologicamente al Pakistan.
Alla fine di questa lunga lettura ci si potrebbe essere fatti un’idea di chi abbia ragione e chi torto, o magari può essere sorto interesse ad approfondire meglio una problematica geopolitica taciuta per troppo tempo. Tuttavia, bisogna tenere in considerazione, come precedentemente accennato, il ruolo della Cina che padroneggia a modo suo sulla questione. Infatti, come in tutte le questioni che concernono i territori asiatici confinanti con la RPC, la Cina pone grande attenzione ai propri interessi e mantiene vigile il suo sguardo su tutte le evoluzioni, imponendo puntualmente il veto a qualunque eventuale azione proposta dal Consiglio di Sicurezza ONU e rendendo dunque impossibile un intervento internazionale per tentare di porre un freno alle violenze.
Dunque la situazione rimane in uno stallo inquietante, in cui i cittadini kashmiri subiscono angherie su più fronti, avendo ogni sorta di libertà democratica e personale compromessa, subendo violenze sistematiche da parte di militari e militanti e non potendo più contare neanche sul sostentamento economico derivante dal turismo, riducendosi quindi in una popolazione costretta ad abbandonare la propria terra. Quest’ultima è una delle volontà sommessamente nascoste da parte dell’India più nazionalista, che da sempre ha sognato di poter insediare la popolazione che ritiene “indiana” sul territorio ritenuto indiano. Di contro il Pakistan sostiene di voler tutelare i cittadini kashmiri, ritenuti afferenti alla popolazione islamico-pakistana. I cittadini kashmiri vorrebbero probabilmente rimanere nella propria terra e con le proprie autonomie speciali, ormai un lontano ricordo, lontano da questioni politiche e di potere, datate nei valori e nelle ragioni, tra India e Pakistan. Tutto ciò mentre la Cina osserva silenziosamente dall’alto della sua posizione di potere quel che accade, attendendo probabilmente l’occasione più propizia per fare la sua mossa.
[1] (https://www.internal-displacement.org/sites/default/files/2020-04/GRID%202020%20-%20Conflict%20Figure%20Analysis%20-%20PAKISTAN.pdf)
[2] Si veda, a questo proposito, PIPS –Pak Institute for Peace Studies: Security Report 2019, 2020https://www.pakpips.com/web/wp-content/uploads/2020/01/sr2019.pdf(accessed on 3 September 2020).; Dawn, 2 killed, at least 19 injured due to ‘carpet bombing’ by Indian troopsalong LoC, 30 July 2019, available at the link: https://www.dawn.com/news/1497092(accessed on 3 September 2020)
[3] Si veda OHCHR, Update of the Situation of Human Rights in Indian-Administered Kashmir and Pakistan-Administered Kashmir from May 2018 to April 2019, 8 July2019, disponibile al link: ACLED Regional Overview –South Asia (9 –15 February 2020) , 19 February 2020, disponibile al link: https://reliefweb.int/report/bangladesh/acled-regional-overview-south-asia-9-15-february-2020 (accesso effettuato on 3 September 2020).
[4] Si veda, ex multis, ACLED, Mid-year update: 10 conflicts to worry about in 2020, 18 August 2020. Disponibile al link: https://acleddata.com/2020/08/18/mid-year-update-10-conflicts-to-worry-about-in-2020/#1597759448483-eda39a37-bf37(accessed on 03/09/2020).
[5] Al momento non si registra alcun mutamento di posizione da parte degli Stati coinvolti. Si veda, Human Rights Watch, India: Abuses Persist in Jammu and Kashmir, 4 August 2020, disponibile al link: https://www.hrw.org/news/2020/08/04/india-abuses-persist-jammu-and-kashmir(accessed on 03/09/2020); UNHRC, UN experts call for urgent action to remedy “alarming” human rights situation in Jammu and Kashmir, 4 August 2020; disponibile al link: https://reliefweb.int/report/india/un-experts-call-urgent-action-remedy-alarming-human-rights-situation-jammu-and-kashmir (accessed on 3 September 2020).