La Street Artist italiana Laika questa settimana si è recata al confine tra Bosniae Croazia, nelle località di Lipa, Bihac e Velika Kladusa, nel Cantone dell’Una Sana, per raccontare, attraverso i suoi poster, le condizioni in cui versano i migranti. “Ho voluto vedere con i miei occhi quali fossero le condizioni di migliaia di persone bloccate alle porte dell’Europa. Freddo, scarsità di cibo ed acqua e violenza da parte della polizia ogni volta che si prova ad entrare in Croazia: è questa la terribile routine dei migranti sulla rotta balcanica. Non c’è nulla di umano nel vivere così”, ha dichiarato l’artista in una nota stampa sull’iniziativa.
“Ho incontrato persone incastrate in questo inferno da anni, che continuano a combattere per il proprio futuro e per quello della loro famiglia. Uomini e donne provenienti dalle più diverse regioni del pianeta le cui storie devono essere raccontate. Storie come quella di Ahmed che viene dal Pakistan ed è bloccato in Bosnia da cinque anni e sogna di lavorare in un hotel, o quella di Brahim, un ragazzo berbero fuggito dall’Algeria, che racconta con rabbia l’esperienza dei pushback, i rimpatri illegali, a Trieste”, ha continuato Laika.
La serie di poster è stata affissa in alcuni luoghi simbolici che rappresentano la vita dei migranti come: i rifugi di fortuna nei quali abitano, i boschi di frontiera dove tentano il ‘game’, il campo di Lipa e nei pressi del campo Miral. Le opere di Laika- prosegue la nota- sono un monito all’Unione Europea e chiedono poche cose ma nette: accogliere queste persone e garantire loro delle condizioni di vita umane, punire e fermare la violenza di quegli stati europei che si accaniscono sui corpi di queste persone e, soprattutto, stroncare la rete del traffico di esseri umani.
“Noi cittadini europei non possiamo accettare che questa violazione dei diritti umani accada deliberatamente. Lasciar che ciò accada significa essere complici di una violenza che non appartiene ai valori comunitari. Una forte presa di posizione- ha concluso l’artista- farebbe guarire quelle dolorose cicatrici. A rimanere in silenzio, invece, si diventa complici”.
Le quattro opere realizzate raffigurano: un uomo di spalle con la schiena sfregiata dalle botte della polizia di frontiera, le cui cicatrici formano le lettere EU; un bambino con le lacrime congelate; una donna che chiede aiuto alla Von der Leyen che però sembra non ascoltare; una bambina che salta una corda di filo spinato.