È stato da poco pubblicato “Il barometro dell’odio 2021”, l’ultimo rapporto di Amnesty International Italia che analizza il livello di discriminazione e di hate speech sulle piattaforme social. Quest’anno la ricerca, ormai alla sua quarta edizione, ha analizzato le conseguenze dell’emergenza sanitaria sui diritti economici, sociali e culturali e come esse abbiano influito sull’odio presente nel dibattito on line.
Una tematica, quella dell’intolleranza diffusa in rete, alla quale Amnesty presta attenzione già da tempo e che ha portato alla creazione nel 2016 della Task Force Hate Speech: un gruppo di attivisti che, agendo in modo coordinato e simultaneo, si occupa della difesa dei diritti umani anche sul web. Dal loro lavoro è nata poi la guida, aggiornata nel 2020, ‘Hate speech, conoscerlo e contrastarlo’. Lo scorso anno sono state circa 750 le nuove richieste di partecipazione alla Task Force; sintomo, questo, di come la sensibilità sul tema sia sempre più diffusa, unitamente al desiderio di combattere l’intolleranza on line in modo attivo e costruttivo, abbandonando ogni forma di passività davanti allo schermo.
Due i social media monitorati dal barometro, Facebook e Twitter, per un periodo di 16 settimane, dal 15 giugno al 30 settembre 2020, seguendo due binari: quello relativo ai post e tweet pubblicati su pagine e profili di esponenti del mondo della politica, dei sindacati, dell’informazione, di enti legati al welfare; l’altro riguardante i relativi commenti degli utenti. Oltre 22milioni di contenuti scaricati e più di 36mila valutati: un lavoro imponente, quello svolto dalla Task Force, che ha evidenziato purtroppo delle tendenze poco rassicuranti, ovvero l’emersione di nuove vulnerabilità e discriminazioni.
Ne parla nella nota introduttiva al report, Federico Faloppa, coordinatore della Rete Nazionale per il contrasto ai discorsi e ai fenomeni di odio. Durante la prima fase della pandemia, “un po’ ingenuamente ci eravamo illusi. (…) Erano i mesi del tutto andrà bene, (…) dell’uniamoci a coorte contro un nemico comune”. A poco a poco invece, prendeva piede nelle piattaforme social una sorta di “virus dell’odio”: “Cominciava a vedersi ciò che i dati del barometro avrebbero fatto emergere con evidenza”, continua Faloppa, ovvero poiché “la coperta delle risorse, dei diritti, della cittadinanza è percepita come corta, non ci sarebbe stato posto per tutti e la spaccatura sociale sarebbe stata anticipata e sostenuta da una nuova polarizzazione del discorso (…). La classica fallacia del falso dilemma (o noi o loro): tanto smaccata quanto efficace, soprattutto in tempi di crisi. Attorno a questa polarizzazione, infatti, non solo si costruiscono nuove fratture sociali (…) ma si riarticolano luoghi comuni usurati e ostilità di lungo corso”. Dall’analisi emerge un quadro di una vera e propria intolleranza pandemica diffusa e vengono individuati i bersagli dell’hate speech, vecchi e nuovi capri espiatori, tutti considerati ‘untori’: a fianco di migranti e rifugiati compaiono anche operatori sanitari, runner e tutti coloro che godono di presunti ed esclusivi benefici.
Tra le tecniche principalmente usate dagli haters, Faloppa ne indica alcune: concentrare sul “diverso” tratti negativi e/o pericolosi; aizzare i follower contro chi non può controbattere, o contro un nemico visibilmente “altro”; infine la tecnica del benaltrismo, ovvero “i problemi sono ben altri”, “usata spesso per ridicolizzare le rivendicazioni di genere e per sminuire le battaglie sui diritti civili.”
Tra i dati raccolti dal barometro emerge che: si offende meno ma si incita di più all’odio; l’intolleranza online è più radicalizzata quando incrocia i temi legati ai diritti economici, sociali e culturali; le percentuali aumentano quando questo tipo di contenuti viene associato ad altri temi come ‘rom’ e ‘immigrazione’; le principali sfere dell’odio sono islamofobia, sessismo, antiziganismo, antisemitismo, razzismo, omobitransfobia.
Infine, allegato al report, il documento “Pandemia, comunicazione, discriminazione”, in cui viene approfondito il ruolo svolto dalla comunicazione istituzionale nella fase 2 dell’emergenza. Due i filoni principali oggetto di studio: il frame utilizzato per narrare la pandemia e la comunicazione da parte delle istituzioni.
Per il primo aspetto, ha prevalso il quadro narrativo dell’emergenza piuttosto che quello della crisi di lunga durata. Una differenza non solo semantica ma sostanziale: il frame dell’emergenza consente di dare delle risposte immediate, accentrate e con efficacia sul breve termine; quello della crisi invece, apre ad una programmazione a lungo termine, con il coinvolgimento dei corpi intermedi della società, spesso espressione dei settori più vulnerabili e che svolgono un ruolo centrale nella tutela dei diritti. Nella pratica, la seconda fase della pandemia è stata gestita per lo più come la prima fase, ovvero spesso in termini di emergenza: “Il risultato”, si legge nel documento, “è stato quindi una minore protezione di chi ha difficile accesso ai diritti economici, sociali e culturali, con la creazione di nuove sacche di discriminazione e l’aggravamento delle condizioni di quelle pregresse”.
Per quanto riguarda l’aspetto del linguaggio istituzionale, esso è risultato complesso e spesso confuso, non riuscendo ad essere inclusivo e a raggiungere bene fasce poco scolarizzate o con scarse competenze digitali senza accesso ad Internet (digital divide), oppure quelle con una minore conoscenza della lingua italiana. Queste categorie sono state quelle più esposte alla cattiva informazione e ciò ha contribuito ad una riduzione del livello di tutela dei diritti e di sicurezza per la popolazione.
Da qui poi, l’appello alle istituzioni per rafforzare le campagne di informazione sui diritti umani, intensificare l’alfabetizzazione digitale, promuovere un uso responsabile della rete, condannare in modo tempestivo i discorsi di odio, produrre note esplicative ai testi legislativi per agevolarne la comprensione.
Ancora una volta una denuncia in difesa dei diritti, quella di Amnesty, che, affiancandosi alla già menzionata guida per contrastare l’odio in rete, diventa anche un’esortazione ad agire in modo preparato e consapevole, utilizzando strumenti per riconoscere linguaggi e messaggi che nascono da stereotipi e pregiudizi e poter mettere in atto delle valide ed efficaci contronarrazioni positive.
I report e la guida completi sono disponibili al seguente indirizzo: https://www.amnesty.it/barometro-dellodio-intolleranza-pandemica/