Le emozioni della vita hanno accompagnato e sostenuto la vena poetica dello scrittore e giornalista Angelo Barraco, ispirando la composizione della sua silloge “Caos”( Bertoni Editore) , il volume di poesie scritto durante i suoi viaggi di lavoro e di piacere. La vita di un uomo è un moto perpetuo, un continuo peregrinare che conduce a nuove esperienze, utili a gettare le basi su cui costruire la propria vita. Nel continuo, incessante andirivieni di emozioni, sensazioni, momenti, ricordi, Il giornalista lilibetano, attento osservatore memorizza i volti di chi incontra, facce segnate dal dolore, sguardi che annegano nella disperazione, visi deformati dall’ira o illuminati di gioia. Mille sfaccettature dell’esistenza raccolte dall’occhio indagatore del giornalista e raccontate dall’autore in modo tradizionale, con carta e penna tra le mani, attraverso il linguaggio potente ed evocativo della poesia. Lampi di fragilità umana, frammenti dell’anima, tessere di un mosaico da comporre, fatto di toni, forme, voci. Vero ed effimero, reale e fugace. Storie da immaginare. E’ il caos della vita, il flusso incessante del tempo nel quale tutti siamo “homo viator”, “viandanti” alla ricerca del senso più profondo e più vero dell’esistenza nel disordine quotidiano di emozioni , smarrimenti , luoghi, incontri casuali, suggestioni.
Al poeta Barraco piaceva osservare, immaginare i pensieri, i sogni, il destino di quegli esseri sconosciuti che amava analizzare incrociando le loro silenziose, a volte chiassose o assorte esistenze. Barraco le definisce “presenze in transito”, ectoplasmi- volti indistinti e spesso indefinibili, che gli passano accanto, lo sfiorano e si scrutano tra loro. La vena poetica veniva alimentata dai suoi viaggi, quando ancora studente si spostava quotidianamente in treno e poi ancora nel tempo. Gli sguardi di quegli occasionali passeggeri probabilmente non si incontrano, ma lo smarrimento vacuo dei loro occhi tradisce “il grigio vuoto” del loro peregrinare, del loro ricercare, se ricerca c’è, “una realtà fatta di inutili apparenze” (estratto dalla prefazione di Bruno Mohorovich).