Roma, 29 aprile 2021 – Non è mai troppo tardi e forse è inevitabilmente comprensibile e in qualche modo superflua la reazione comune agli arresti di Parigi: finalmente! La mia generazione ha vissuto questa tragica condizione avvertendone, quasi sin dall’inizio, la pericolosità del suo manifestarsi e la disinvolta ambiguità dell’atteggiamento diffuso, addirittura durante i giorni della tragedia di Aldo Moro e poco prima dell’assassinio del commissario Calabresi a Milano. Ero ancora fresco esponente del movimento studentesco, segretario nazionale dell’Intesa universitaria, già durante la partecipazione alla Fuci (federazione universitari cattolici italiani) e poi presidente dell’Unuri (unione nazionale universitari rappresentanti italiani). Ho ben impresso lo sgomento di Casalegno che il direttore della Stampa, Arrigo Levi, mi suggerì di incontrare, e qualche giorno dopo, del professore Guido Calogero. Entrambi esprimevano smarrimento e radicale dissenso verso questi moti di estremismo e rivoluzionarismo infantile e tragico, con l’irrompere inarrestabile del flusso quotidiano di lutti e morti. Il vice direttore della Stampa, uomo mite, colto e di intelligenza da fine storico, sarebbe finito massacrato sul portone di casa al rientro dal giornale. Qualche tempo dopo analoga sorte sarebbe toccata a Walter Tobagi, bravissimo giovane collega del Corriere della Sera e anche studioso dei sindacati e dei movimenti sociali, su un marciapiede fangoso a pochi metri da via Solferino. Anche il mio direttore al Tg 1 Emilio Rossi fu colpito alle gambe in via Teulada, poco dopo aver lasciato l’autobus a piazzale Clodio per raggiungere a piedi, come faceva quotidianamente, la redazione. Dopo una lunga e dolorosa degenza all’ospedale Gemelli, non poté mai più riprendere pienamente l’uso delle gambe, costretto a muoversi con l’aiuto di un bastone che da allora utilizzò anche per esprimere sul tavolo delle riunioni il suo assenso o disaccordo sulla impaginazione del giornale e dei diversi servizi. L’elenco delle tante tragedie sarebbe troppo lungo, culminato nella feroce barbarie dell’assassinio di Aldo Moro, preceduta dallo sterminio del maresciallo Leonardi e di tutti gli uomini della scorta in via Fani. Certo, molte riflessioni sarebbero necessarie sulla adeguatezza della risposta complessiva dello Stato, dei suoi organi di sicurezza e dei servizi segreti, inzeppati di esponenti della massoneria deviata di Licio Gelli, collegato fortemente alla Cia, a partire dallo stesso ministro dell’interno Francesco Cossiga. Fondamentalmente però è l’intera società italiana che ha sconfitto e superato il terrorismo, quella orribile cultura ambigua racchiusa nella formula oscena: né con lo Stato, né con le Br. Nessun compiacimento dunque, anche se il presidente del Consiglio e la ministra della Giustizia vanno fortemente apprezzati per essere riusciti a portare finalmente a compimento una doverosa operazione di giustizia. Senza arroganza e rancore, ma per aver reso evidente il valore della memoria e il rispetto per le vittime, il dolore e le ferite sempre vive nei familiari. Molto diversamente dal presidente Mitterand e dal suo ambiguo e intollerabile doppiogiochismo che finalmente la Francia di oggi, dopo 40 anni, è riuscita a superare. In questo senso l’immane tragedia che ci è restituita nelle menti e nel cuore, dopo gli arresti di Parigi, resta al fondo segno eloquente delle difficoltà e del travaglio della nostra vita democratica. Spesso attraverso lutti e spargimento di sangue, la stessa democrazia è sottoposta a prove terribili che possono e devono però essere affrontate e superate nel comune sforzo irrinunciabile di risposta corale sempre nel segno della libertà.
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