23 maggio 2021, Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani, 29 anni dopo. La deflagrazione del corpo non ha impedito al perpetuarsi vitale della forza delle azioni del magistrato imploso insieme alla moglie pure lei giudice e i tre poliziotti della scorta, tutti servitori dello Stato. Cinque volti scolpiti nell’animo di tanti che, fuori dal palcoscenico rituale di questi giorni proseguiranno a testimoniarne il sacrificio. Cinquecento chili di tritolo non sono bastati a cancellarne la memoria, proprio come disse Giovanni Falcone, qualche tempo prima la strage che lo uccise ‘’Gli uomini passano, le idee restano’’. 29 anni dopo quel giorno di inaudita violenza per la storia d’Italia, ricordiamo il sangue versato di cinque persone, vittime sacrificali di un terrificante attacco ordito per minare la legalità dello Stato e indebolirne strutturalmente le fondamenta.
Nel mezzo di un primaverile pomeriggio del 23 maggio 1992 alle 17, 57, mentre Giovanni Falcone la moglie e i cinque uomini della scorta del magistrato, attraversavano la A29, un sovraccarico di esplosivo faceva saltare quel tratto autostradale in località Capaci che collega l’aeroporto di Punta Raisi a Palermo, dilaniandone i loro corpi. Le immagini choc di quella strage lasciarono attoniti, fecero il giro del mondo. Le orribili trame ordite contro la rappresentanza specchiata e limpida dello Stato non si sarebbero però concluse con Capaci. Un altro devastante attacco mafioso sarebbe accaduto da lì a poco. Nella palermitana via D’Amelio il 19 luglio 1992 assieme ai cinque agenti della sua scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, sarebbe stato trucidato Paolo Borsellino.
In poco meno di due mesi due magistrati di elevato profilo etico e investigativo morivano barbaramente con la loro scorta. A soli 57 giorni di distanza i loro destini intrecciati nella vita, da amicizia e professione, fortemente legati dal comune denominatore dell’alto senso dello Stato, avrebbero proseguito a rimanere intessuti dalla medesima sorte anche nella morte.
Le due stragi del ‘92 seguivano a un altro emblematico fatto di sangue consumato nella spiaggia di Mondello a Palermo. L’assassinio di Salvo Lima il 12 marzo capo della corrente democristiana di ispirazione andreottiana, stabilito dal vertice della cupola mafiosa dei corleonesi. Totò Riina uscito sconfitto nel maxi-processo decretò vendetta verso chi non aveva garantito l’impunità e stava contribuendo al vacillamento dell’impalcatura mafiosa.
Il 23 maggio 1992 è una data penetrata cruentemente nella Storia italiana. Lacerante , perennemente dolente, la morte di Giovanni Falcone non è e non deve considerarsi essere avvenuta invano. Lascia una eredità profondamente morale, un patrimonio di incommensurabile valore etico. Principi assoluti di legalità da cui trarre ispirazione intensa viva e lucente nell’andamento della vita di ognuno di noi.
“La mafia non è affatto invincibile; è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto, bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave; e che si può vincere non pretendendo l’eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni”. Così Giovanni Falcone in un pensiero che rende eterni i suoi valori e la fiducia nelle istituzioni a servizio della Legalità.