Deo gratias! La pandemia, varianti permettendo, sembrerebbe che si sia in qualche modo stancata di rompere gli zebedei ai poveri mortali. Motu proprio o per effetto della vaccinazione? Poco importa la causa e il caos sui vaccini. Quel che importa è che si torni a intravedere la possibilità di vivere la vita così come l’abbiamo sempre vissuta. Dopo tanto tempo di restrizioni essa, come d´incanto, ci appare meravigliosa. Forse mai prima d’ora abbiamo dato tanto valore alla libertà di muoverci, di risocializzarci e di fare quel che sempre abbiamo fatto.
Nondimeno, oltre che rallegrarci, adesso dobbiamo leccarci le ferite e pensare ai guai che il morbo pandemico ci ha procurato. Un recente studio di Follow-up, riportato dal “Corriere CE”, informa: “… a 6 mesi dall’insorgenza dei sintomi, COVID-19 ha dimostrato che oltre il 60% dei soggetti analizzati presentava sintomi persistenti di affaticamento o debolezza muscolare. Difficoltà del sonno (26%), ansia o depressione (23%) non erano rari”.
Ciò stante, dovremo incominciare a ragionare seriamente su come rimettere in piedi il Paese e su come sanare tanto le sequele sanitarie quanto quelle psicologiche (conseguenze – queste ultime – dei cambiamenti del modus vivendi) oltre a quelle economiche che hanno affossato i nostri mercati. Alle prime si dovrà far fronte rafforzando gli organici, le strutture ospedaliere e tutto il sistema nazionale di gestione della salute da tempo abbandonato a se stesso; e tali misure serviranno anche a non farci trovare impreparati di fronte ad altre possibili calamità pubbliche. Invece, per porre riparo alle seconde sarà necessario uno sforzo congiunto a livello internazionale e l´aiuto provvidenziale del Padre Eterno!
È proprio così, da soli e senza una mano dall’alto sarà davvero difficile venirne fuori: lo scenario economico post virale nel Vecchio Continente appare, in realtà, molto turbolento e in Italia, la c.d. parte fragile del Sistema Europa, critico più che mai. E alle criticità, ahinoi, l’Italia è avvezza! Le criticità, infatti, vecchie e nuove con cui l’Italia oggi si trova a fare i conti sono molteplici e complesse. Questo stato di cose purtroppo si verifica in quanto il nostro Paese è strutturalmente più indebolito degli altri partner europei sia a causa delle precedenti recessioni sia a causa dei malgoverni che non hanno adottato strategie di lungo termine e sia, infine, a causa della stretta tra debito pubblico e forti vincoli comunitari imposti da Bruxelles, in particolare, all’export delle nostre industrie e manifatture.
Non è per entrare nel merito di detti problemi, ma a questo punto ci sia consentito aprire una breve parentesi quantomeno sulla politica economica comunitaria. Va detto, a tal proposito, che i vincoli di Bruxelles in materia sono rimasti ai tempi dei canonici di legno, espressione idiomatica che nel dialetto calabrese significa: estemporanei e fuori del tempo. Essi sono il frutto dei trattati di Maastricht, di un mondo che fu trent’anni orsono. “Vassene il tempo e l’uom non se n’avvede”, per dirla con le parole del Sommo Poeta, epperciò va da sé che i parametri di Maastricht, oramai segnati dal tempo, vadano cambiati.
E per di più essi sono i maggiori responsabili della nostra austerità e della nostra contrazione (vedasi, a proposito, il Patto di Bilancio che impone agli Stati membri di portare il rapporto debito/Pil al 60%, una percentuale mai raggiunta dall’Italia sin dal suo ingresso nell´ UE). In sostanza, Bruxelles ha esercitato fino ad oggi una governance utopistica, fallimentare e fuori dell’orbita della ragionevolezza, quindi tutta da riformulare. Non si può pontificare saccentemente dall’ alto e con regole fisse che mirano a uniformare realtà non solo diverse, ma economicamente, socialmente e culturalmente discordanti.
Orbene, come dicevamo, non è nostra intenzione discettare in questa sede sul sistema di governance economica e finanziaria dell’UE anche se ci sarebbe molto da discutere, ma abbiamo solo cercato di mettere in evidenza una delle principali cause che ha ulteriormente scassato la nostra economia, che, di conseguenza, dovrà affrontare più che ogni altra le dodici fatiche di Ercole se vorrà sperare di sopravvivere all’ultima batosta, quella pandemica.
Ciò nonostante, continuiamo ad essere fiduciosi sul nostro futuro. Einstein affermava: “… la crisi porta progressi, è nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie” e noi italiani siamo notoriamente maestri d’inventiva! Ma, ahinoi, la sola creatività non basta e bisogna puntare su un cambio di mentalità da parte di tutti. A questo punto, però, una domanda sorge spontanea: esiste davvero la volontà in Europa e altrove di cambiare tutto per il bene di tutti o piuttosto i vari poteri sono solo interessati a lasciare le cose come stanno e a fare politica solo per i loro propri interessi?
Nessuno può prevedere il futuro, ma un fatto è certo: esso è aperto e dipende fortemente dalle scelte che noi faremo e, allo stato, Dio solo sa quali saranno! Gli economisti di casa nostra, secondo il rapporto annuale dell’ICE (Istituto Nazionale per il Commercio Estero), prevedono, purtroppo per noi, una disoccupazione pari al 12% e un crollo del Pil in doppia cifra dal momento che i dati sul commercio suscitano profondo avvilimento.
E dunque? Non rimane che sperare in ciò che di meglio oggi abbiamo e confidare nella capacità di Draghi. Non a caso San Tommaso d’Aquino affermava che la fiducia è una forma della virtù della speranza! “I buoni rapporti stabiliti da Draghi negli anni in Europa gli saranno d’aiuto” – afferma Berlusconi – e di costui tutto si può dire meno che non sappia soppesare il valore della credibilità e della fiducia nei rapporti internazionali.
Ma basterà, si domandano in molti, il prestigio di cui gode Draghi a salvarci, nell’attuale realtà socio-politica, dalla profonda crisi non solo economica, ma anche esistenziale, generata dalla mancanza di un’etica che tuteli il valore immenso dell’essere umano ovvero il valore che il nostro Creatore ha impresso in ognuno di noi?
È pretendere troppo che Draghi risolva con formule magiche tutte le crisi che ci affliggono. Draghi è un fuoriclasse, è vero, ma non è il grande Houdini. Nell’odierna situazione politica egli appare come la manna caduta dal cielo o, più espressivamente e per dirla in gergo romanesco, come “er mejo fico der bigonzo“, epperciò teniamocelo caro e poi… chi vivrà, vedrà!
Comunque sia, nell’attuale panorama esiste una realtà oggettiva: il problema economico non conosce confini. Esso è di portata mondiale, per cui l’Italia e l’Europa da sole, quand’anche fossero governate dai migliori leader, in ogni modo non sarebbero in grado di realizzare il recupero della perduta forza economica. Si rende necessario uno stimolo di origine internazionale che sproni domanda e produzione.
A causa della disastrante globalizzazione, noi facciamo parte di un meccanismo le cui ruote motrici indipendenti si chiamano America, Cina e Russia. Se queste ultime si muovono anche noi ci muoviamo in quanto sono solo esse, in vorace concorrenza e da opposte sponde, a tenere le redini del “gioco” globale. Un gioco a quattro e dal risultato scontato: sempre vincenti i tre signori della produzione e sempre perdente l’umanità, trasformata in utenza consumatrice e condannata ad essere schiava del lavoro in quanto “drogata” dal desiderio del consumismo.
Ebbene, nonostante gli attori primari ovvero i forti della globalizzazione siano i tre menzionati colossi della finanza e i deboli il resto del mondo, recentemente abbiamo constatato che solo attraverso la cooperazione transnazionale in campo scientifico sanitario siamo riusciti a produrre, in tempi record, il vaccino contro il Covid-19. Ora ci vuol poco a capire che per la sopravvivenza economica dell’umanità vale la stessa regola: ancora una volta ci si impegni tutti e congiuntamente, forti e deboli, a realizzare “l´altro vaccino”; quello atto a curare il virus economico ovvero “l’economia malata”! Se la domanda e l’offerta sono alla base del pensiero economico è chiaro che cadendo la domanda vada in malore anche l’offerta e chi la produce. Ciò posto, la solidarietà etica e sociale in ambito economico appare essere, oramai, l’unica strada percorribile per salvare capre e cavoli ovvero bisogni e tornaconti.
Riteniamo dunque che oggi sia più che mai attuale il detto di Immanuel Kant: “La solidarietà del genere umano non è solo un segno bello e nobile, ma una necessità pressante, un ‘essere o non essere’, una questione di vita o di morte.” Ne consegue che, se vogliamo sopravvivere e sperare in un nuovo miglior ordine mondiale, dobbiamo mettercela tutta praticando con impegno comune una forma di economia solidale che ridisegni i rapporti tra realtà economica e sociale per garantire, così facendo, il bene e i diritti di tutti.
Ora o mai più, perché se questo nuovo corso non avverrà, ahinoi, sorgerà un mondo infame in cui solo i forti sopravviveranno e i deboli moriranno! Ma, in quest’ultima ipotesi, che sarà poi dei forti e del loro “gioco” globale senza i deboli? Vogliamo credere che i forti, da soli, non si rimetteranno a giocare il Tressette… (stavolta) col morto! Al fine si sbraneranno a vicenda e, parafrasando Montale, un ombroso Lucifero scenderà su questo misero mondo scuotendo le ali di bitume semi-mozze dalla fatica, per sentenziare: è giunta l’ora!
E così la storia, la ricchezza e gli uomini finiranno!
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