Roma, 13 ottobre 2021 – Aggirarsi tra gli stand della Maker Faire di Roma, il più grande evento europeo sull’innovazione, è stata un’esperienza fuori dal comune, un’immersione totale nei settori più all’avanguardia che mostra i migliori connubi tra ricerca di base, ricerca applicata, aziende e università. È un evento altamente attrattivo, oltre 20.000 biglietti venduti; stupisce la grandissima quantità di bambini. Sarà che anche il luogo aiuta a volerci andare: per la prima volta sono stati utilizzati gli ampi spazi dell’area del Gazometro ad Ostiense, che in passato era utilizzato per accumulare di notte il gas che sarebbe stato distribuito durante il giorno alla città. Oggi l’area è destinata a diventare il distretto dell’innovazione di Roma ed ospita la sede dell’Agenzia Giornalistica Italiana – AGI.
Il Gazometro di Roma, nel quartiere Ostiense. Utilizzato fino agli ’60, è stato smantellato salvaguardando però la struttura esterna. Ora è un pregevole esempio di archeologia industriale, valorizzato all’interno dell’area del distretto dell’innovazione.
La piantina che prendo all’ingresso mostra tanti spazi espositivi e quindi chiedo un aiuto allo staff: cosa non posso assolutamente perdermi? “Il primo padiglione” rispondono in coro.
Hanno ragione. Qui si ha l’impressione di ritrovarsi nel back stage di Dune o di Guerre stellari perché ciò che questi gruppi di ricerca (rigorosamente ingegneri, matematici e fisici dei sistemi complessi) hanno sviluppato rasenta la fantascienza.
Il robot quadrupede dell’Università di Pisa
Vedo una bambina avvicinarsi ad un robot quadrupede ed esclamare “Che carino” mentre lo accarezza come fosse un cagnolino ed anche io non trattengo un “Che tenero” mentre un robottino mi scivola sulle scarpe. Me ne rendo conto e domando se è normale avere reazioni umane nei confronti delle macchine “Si, è assolutamente normale. Stiamo già affrontando le questioni di roboetica perché il tema esiste ed è urgente”, mi spiega un ricercatore del Politecnico di Torino che sviluppa sistemi robotici da utilizzare all’interno delle abitazioni, nei luoghi di lavoro o in agricoltura (PIC4SER). E perché un quadrupede e non un robot su ruote? “Perché il quadrupede è in grado di superare gli ostacoli, mentre un robot su ruote se trova un intralcio deve essere riprogrammato – mi spiega una ricercatrice dell’Università di Pisa-. Lo usiamo ad esempio per l’esplorazione e i monitoraggi ambientali, ad esempio nelle foreste”.
La conversazione più ostica è con un ricercatore della start up OBDA dell’Università di Roma La Sapienza: si occupa di ontology based management. Dalla mia espressione capisce che non ne so nulla e mi spiega che si tratta di collegare una ontologia (e cioè una serie di regole) ad un data base per ottenere l’estrazione del maggior numero di risultati utili. “In pratica diamo valore semantico ai dati che si pubblicano”, e fa riferimento ad esempio agli open data della pubblica amministrazione “Se rendi i dati disponibili ma non gli dai delle regole è come non avere nulla”.
Già, gli open data. Un’applicazione di Sony lavora proprio su questi oltre che sui tracciamenti di Google (oltre 20.000 monitoraggi!) per realizzare la “città in 15 minuti”, anche questa frutto del lavoro con La Sapienza di Roma. Oppure il progetto Envision: “Utilizziamo gli arredi urbani già presenti, come ad esempio i semafori, per posizionare dei rilevatori che consentono di sapere ad esempio quali sono i parcheggi liberi più vicini, o se l’autobus che sta arrivando è pieno, o i percorsi migliori di mobilità urbana”.
All’ingresso c’è un gruppo di bambini che sta giocando con i lego. Stanno costruendo una città e sono ripresi da un sensore che li avvisa di alcune criticità quali ad esempio aver previsto pochi ospedali o poche abitazioni. “L’obiettivo non è costruire la città perfetta ma vedere come di fronte ad una missione (ad esempio aumentare gli spazi verdi) si trovano soluzioni attraverso il gioco” Di che si tratta? “È un’applicazione della fisica dei sistemi complessi, cerchiamo di comprendere come tanti agenti interagiscono tra di loro”.
Tantissimi i partecipanti alla Maker Faire. Lunghe le attese per sperimentare alcune applicazioni come la realtà aumentata nello stand di ACEA.
Cambio padiglione e mi ritrovo a parlare di agricoltura e allevamento. Gregge connesso è un progetto sviluppato dall’Istituto Tecnico Superiore Agroalimentare per un’azienda agricola di Roma. “Nessuno vuole più fare il pastore e ci hanno chiesto una mano per trovare una soluzione”. Ah, i droni! “No, nessun drone – mi spiegano-. Utilizziamo ciò che la pecora ha già in pancia per precise disposizione di legge sul sistema di identificazione e registrazione per ovini e caprini: il tag, un microchip”. Mi appassiono e chiedo maggiori dettagli. “Il tag è un microchip passivo che viene fatto ingoiare all’animale e che resterà nel suo rumine per sempre. Noi lo rendiamo attivo”. Sfruttando l’abitudinarietà delle pecore, l’ITS Agro ha ideato un circuito molto grande con dei sensori. Questi aiutano a contare il gregge, a smistarlo, ad evitare che si direzioni verso luoghi proibiti (ad esempio l’orto) e ad evitare che i montoni si intrufolino quando non devono. Tutto questo alleggerisce, ma non sostituisce, il lavoro umano. Chi mi presenta il progetto sono la direttrice Laura Castellani e l’alunna Laura Fini: dopo 15 anni di lavoro in IBM ha deciso di voltare drasticamente pagina e di rimettersi sui banchi. La direttrice mi spiega che la scuola è frequentata sia da studenti dell’istituito agrario ma anche da ex universitari e liceali, una novità questa degli ultimi anni.
Comincio ad essere stanca ma non posso non notare che Terna e Acea presentano dei sistemi di realtà aumentata destinata alla formazione degli operatori. Si simulano interventi di riparazione su tralicci in alta quota, sono molto realistici e mi raccontano che alcuni in passato sono svenuti o si sono bloccati per le vertigini. Attraverso la realtà aumentata mostrano l’interazione con uno spazio che suggerisce soluzioni e guide da remoto. “Ad esempio quello che vede l’operatore può essere condiviso con l’ingegnere capo e questi può consigliare manovre o salvare un’immagine e molto altro ancora”.
Tra i progetti più interessanti ce ne è uno di ENEA. Una discreta quantità di temibili zanzare tigre è contenuta all’interno di un barattolo di vetro. Non sono selvatiche ma sono i maschi resi sterili (“li abbiamo modificati”) che, lasciati liberi, fecondano le femmine in modo da far deporre uova sterili. “Può sembrare un metodo biologico violento, ma dobbiamo tenere sotto controllo la diffusione di zanzare tigre che sono presenti soprattutto in città negli ambienti sub urbani. Il rischio è che si mescolino con altre zanzare che sono vettori di malattie quali il Dengue e la febbre giapponese”. Nel sud della Francia, infatti, già sono stati segnalati focolai autoctoni. “È un effetto esplicito del cambiamento climatico, queste specie si stanno ambientando” spiegano sospirando.
Uscendo mi soffermo in un padiglione che poco prima era impossibile da vistare per via della fila. Il primo stand che trovo è della Marina Militare e mi godo la scena: una bambina chiede che cosa “hanno” e i due militari si ingegnano a trovare le parole giuste per spiegarlo. “Stiamo sviluppando dei sistemi per lanciare i satelliti dalle navi” Come dalle navi? “Si, i satelliti possono essere lanciati solo da zone desertiche e qui in Italia non ne abbiamo…allora dobbiamo andare nell’oceano e tra qualche anno saremo in grado di farlo“.
Il nasone (qui in versione 2.0.) è la tipica fontanella di acqua pubblica di Roma. La start up WAIDY ha sviluppato un sistema per monitorare la qualità dell’acqua, dialogare direttamente con il gestore e valorizzare l’uso di risorse idriche pubbliche per contrastare l’utilizzo di acqua confezionata.
La Maker Faire ha il grande pregio di aprirci gli occhi su un futuro che già esiste. Sono state trovate soluzioni a problemi semplici ma assillanti (la sveglia che vibra sotto il materasso per chi ha problemi di udito); sono stati sviluppati software per “comunicare con gli occhi” (per le persone che hanno gravi disabilità fisiche ma non intellettive); ci si interroga sull’alimentazione del futuro (la spirulina sostituirà la carne?), sulla necessità di fare un passo indietro (ad esempio tornare ad utilizzare i punti idrici cittadini, a Roma i nasoni, per evitare l’uso di acqua confezionata) o su questione etiche legate alla qualità dell’informazione in rete. Il futuro sarà necessariamente migliore e il nostro presente può già esserlo.