La scalinata bianca delle Scuderie del Quirinale, solenne e austera, sembra proprio introdurre il visitatore al passaggio verso un altro mondo. E inizia così sotto la Porta dell’Inferno di Auguste Rodin il viaggio nella prima Cantica della Divina Commedia di Dante della mostra che chiuderà i battenti a Roma il 23 gennaio. Le opere di geni come Botticelli, Beato Angelico, Bosch, Bruegel, Goya, Manet, Delacroix, Rodin, Cezanne, von Stuck, Balla, Dix, Taslitzky, Richter e Kiefer ripercorrono i canti e le terzine celebri del sommo Poeta, ma non manca la ‘narrazione’ moderna di cosa sia l’Inferno. E così dall’aldilà si arriva allo scenario apocalittico e mortale della Grande guerra, ai colpi di mortaio e ai volti sfregiati dei soldati. C’è il girone disperante della malattia mentale, della pazzia e della reclusione. C’è il dramma dell’Olocausto, la deportazione, le raffigurazioni dei lager. Si costruisce così agli occhi del visitatori un legame tra l’iconografia direttamente collegata all’opera dantesca e l’attualità di cosa sia l’inferno oggi, anche il più intimo e di coscienza, e di cosa sia stato nel passato recente. Un messaggio politico che del resto ha intessuto tutta la vita di Dante fino a pagare un prezzo con la sorte del doloroso esilio.
Le opere si alternano alle poesie, ai versi di Ungaretti, Calvino, Simone de Beauvoir fino alle stelle nel celebre idillio leopardiano delle ‘Ricordanze’. Proprio al cospetto delle stelle termina il tour della mostra Inferno in congiunzione con l’ultimo verso ‘E uscimmo a riveder le stelle’ che prepara Dante e Virgilio al Purgatorio. Un invito alla speranza che i curatori della mostra hanno reso in poesie e fotografie dello spazio per immortalare galassie che le notti urbane piene di luce hanno quasi offuscato alla conoscenza di noi contemporanei.
Vengono proiettate durante la mostra scene del film italiano realizzato sull’Inferno, pellicola muta e in bianco e nero del 1911 con la regia di Francesco Bertolini, Giuseppe De Liguoro e Adolfo Padovan (produzione Milano Films).
Colpiscono quasi a rappresentare opere simboliche di tutta la mostra gli occhi sfarzosi del divino e dannato Lucifero nel quadro di Franz von Stuck, che ha dato la copertina alla celebrazione artistica di Dante; lo sguardo misto e sensuale del ‘Peccato’ abbigliato con un serpente su toni freddi, sempre dello stesso pittore.
Alla fine della mostra resta senza dubbio scolpita nella mente quel particolare dell’immagine delle mani di Dante e Virgilio, strette nella paura e nel conforto al cospetto del viaggio infernale. Il sentimento che non ti aspetti dal Sommo Poeta e dalla sua guida spirituale è quel momento quasi nascosto di tenerezza affettuosa e umanissima davanti allo strazio dei dannati. Il dipinto di Gustave Courtois immortala così questa profondità e quasi annuncia come un monito Italo Calvino che con alcune parole scelte da ‘Le città invisibili’, nell’ultima stanza, al termine del viaggio artistico ma anche intimo, ricorda che sopravvive all’inferno solo chi sceglie “ciò che inferno non è” e “gli da spazio”.
Foto: dalla mostra