Benali (Nobavaglio): in Palestina giornalisti rischiano la vita: 55 morti dal 2000

Dal 2000 ad oggi sono 55 i reporter uccisi da pallottole sparate dai soldati israeliani dal 2000, come riferiscono Reporters sans frontieres e il Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj). Nacera Benali, giornalista algerina della Rete NoBavaglio - Liberi di essere informati, lo ha illustrato stamani a Roma in conferenza stampa 'Morire per informare'
 Roma, 9 giugno 2022 – “Lavorare in Palestina per i giornalisti è una corsa a ostacoli. Come sappiamo, qualsiasi spostamento richiede un permesso che viene emesso dalle autorità israeliane, ed è difficile e raro ottenerlo. Senza, le persone vengono fermate a ogni posto di blocco. E’ difficile anche per i reporter che lavorano per grandi media e che ottengono i permessi perché potrebbero ritrovarsi in mezzo a una sparatoria o un blitz delle forze israeliane e vengono scambiati per un civile e subiscono violenze fisiche o verbali. Dal 2000 ad oggi sono 55 i reporter uccisi da pallottole sparate dai soldati israeliani dal 2000, come riferiscono Reporters sans frontieres e il Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj)”. A illustrare questa situazione è Nacera Benali, giornalista algerina della Rete NoBavaglio – Liberi di essere informati, che stamani a Roma ha organizzato la conferenza stampa ‘Morire per informare’, in collaborazione con la Federazione nazionale della Stampa italiana (Fnsi).Per Benali, i cronisti caduti nei Territori palestinesi per fare il loro lavoro “è un fatto spaventoso, ed è esattamente quello che è accaduto a Shireen Abu Akleh”, l’inviata di Al Jazeera uccisa lo scorso 11 maggio nel campo profughi di Jenin dove si trovava con dei colleghi per seguire un’operazione delle forze militari israeliane, protagonista dell’incontro all’Fnsi.”Come Rete NoBavaglio- ha proseguito Benali- sosteniamo la libertà di espressione nonché il diritto dei cittadini ad essere informati, in Italia e all’estero. Per questo chiediamo che l’uccisione della collega Abu Akleh non passi impunita, come avvenuto tante altre volte, perché significherebbe dare carta bianca ai militari: qualsiasi soldato potrà sentirsi libero di sparare nella certezza che non subirà nessuna conseguenza per le proprie azioni, e noi non lo vogliamo. Vogliamo invece giustizia per Shireen e la sua famiglia”, ha concluso l’attivista di NoBavaglio che, durante l’incontro, ha citato una frase della collega e amica Shireen Abu Akleh: “Ogni volta che noi giornalisti andiamo a lavorare, sentiamo la morte vicina”. Fonte Agenzia Dire
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