L’Acqua di San Franco: una storia di devozione e il cuore di un padre

Ad Assergi, borgo aquilano alle falde del Gran Sasso, l'Acqua di San Franco: un intreccio di storia, di costume e di umanità, ciò che sempre si riscopre in questi antichi luoghi dello spirito, a condizione che si sappiano guardare con occhi carichi di sogno e di carità.

L’AQUILA – Il 13 agosto, da tempo immemorabile, c’è ad Assergi (L’Aquila) la tradizione del pellegrinaggio all’ “Acqua di San Franco”, un’edicola in pietra costruita sopra una sorgente d’acqua pura che, come si legge negli “Atti di San Franco”, una breve biografia del santo scritta in latino medievale non molto tempo dopo la sua morte, l’eremita avrebbe fatto scaturire dalla viva roccia. Al piccolo santuario si accede da una strada che s’incontra lungo la statale che conduce al bivio delle “Capannelle”: una comoda via sterrata che alla fine si restringe in un sentiero a tratti tortuoso ma non disagevole. Il tempo di una bella scarpinata, e si giunge alla meta. Ci si rinfresca all’acqua sorgiva e poi, da una sorta di balcone, un incantevole panorama si dipana davanti alla vista. Ci si sente in alto, in tutti i sensi.

Acqua di San Franco: quasi un sacro arredo naturale che fa parte della geografia spirituale di Assergi, un altare all’aperto che ci ricorda che il cammino cristiano è un’ascesi, una salita, un percorso contro corrente, soprattutto in questi nostri tempi di diffuso sbandamento morale. Nei secoli passati fu meta di pellegrini provenienti da ogni parte d’Abruzzo. Ancora negli anni ‘60 del secolo scorso, torme di devoti del santo anacoreta, provenienti in gran numero dall’altro versante del Gran Sasso, non mancavano, prima di far visita nella chiesa-santuario del paese con canti pieni di fervore, di recarsi lassù come ad appuntamento che sapeva di fede e di festa.

La chiesetta, come si accennava, era nei tempi andati tanta parte nell’immaginario degli assergesi. Io che scrivo questa nota udii raccontare più di una volta dalla viva voce di mia nonna un episodio straordinario di cui da giovane era stata testimone oculare. Una ragazza, creduta posseduta dal demonio, vittima di strani fenomeni patologici, inginocchiatasi devotamente di fronte all’immagine del santo, dopo aver bevuto l’acqua, tra strazianti grida e con grande impressione degli astanti, tra i quali i suoi genitori, aveva letteralmente vomitato una sorta di grossa treccia di capelli, per poi cadere esanime e rialzarsi perfettamente guarita dai suoi disturbi.

Le tante persone che nella bella stagione salivano nella chiesetta, assai spesso non esitavano a sottoporsi, per devozione, ad una vera e propria doccia gelata, pare senza alcun nocumento per la salute. Molte persone riferivano – e qualcuna riferisce ancora – di aver ricevuto guarigioni dalla scabbia o da altre patologie della pelle dopo essersi devotamente bagnate con l’acqua. Il 18 settembre 1747 vi salì anche il vescovo dell’Aquila Giuseppe Coppola (1698-1767): si lavò, pregò e alla fine esortò a porre presso la sorgente una sacra immagine del santo eremita, che fu poi dipinta su sfondo maiolicato (N. Tomei, Dissertazione sopra gli atti, e culto di S. Franco, Coda, Napoli 1791, pp. 135-136).

Nel 1783 il Parlamento dell’Università di Assergi esprimeva la volontà di realizzare, sempre vicino alla sorgente, una statua di San Franco, desiderio che rimarrà però sulla carta, ma che testimonia del grande affetto da sempre nutrito dagli assergesi nei confronti del sacro tempietto. Più tardi, l’illustre famiglia dei Cappelli, ancora proprietaria della montagna su cui era sita la piccola cappella, fece edificare sulla fonte una rustica edicola in pietra e un altarino su cui fu sistemato, sempre in maioliche, un dipinto raffigurante il Santo (D. Gianfrancesco, Assergi e S. Franco, Roma 1980, p. 333).

Ai nostri giorni, almeno tre vescovi vi hanno fatto visita. Il 13 agosto 1945 Carlo Confalonieri (1893-1986), futuro cardinale e decano, vi celebrò la messa. Fu poi la volta di Costantino Stella (1900-1973). Da ultimo, l’anno scorso, per gli ottocento anni dalla morte dell’eremita, a presiedere il sacro rito fu Mons. Orlando Antonini, già nunzio apostolico. Salì a piedi lungo il sentiero. Scorgendolo da lontano incedere vestito di rosso, con la mitria in testa e il pastorale a fargli da bastone, ieratico, con la sua bella persona, e poi, soprattutto, con parole attinte alla sapienza cattolica, dava l’impressione di rappresentare una gerarchia ecclesiastica desiderosa di non perdere contatto con le fonti vive della pietà popolare.

Infine, mi piace ricordare che su una lastra di marmo bianco posta sull’altare, poco discosta da numerosi ex voto, figura una scritta che ricorda un restauro che un assergese fece eseguire a sue spese nel 1945 per onorare la memoria di un figlio, geometra, morto nella seconda guerra mondiale. Il benefattore si chiamava Vincenzo Cipicchia (un casato, quello dei Cipicchia, antico e illustre), soprannominato “Menzìne”, con tutta probabilità forma dialettale del diminutivo Vincenzino. Era un signore che viveva a Roma, dove gestiva con successo una ditta di autotrasporti.

Lo scrivente, per ragioni anagrafiche, non lo ha conosciuto, ma ha saputo da persona degna di fiducia che alla fine degli anni ‘50 del secolo scorso aveva predisposto un servizio di pullman per sciatori da Roma per Assergi e la funivia del Gran Sasso. Per i tempi, i suoi pullman apparivano modernissimi e scintillanti, soprattutto al confronto con il vecchio postale col muso della società Pacilli che faceva servizio al paese e che era guidato da un personaggio mitico, tale Ciaglia. I ragazzi di Assergi pare trascorressero ore ad ammirarli. La casa di origine di Vincenzo Cipicchia, alias Menzìne, stava – sia detto per gli assergesi – vicino alla Piazzetta del Forno, in via della Costa, sotto la casa di Peppe della Puciara e di Lorenzo Giusti. Vincenzo, legato al borgo natìo, era solito tornarvi d’estate con la famiglia.

Quanto può essere grande il cuore di un padre, soprattutto se illuminato dalla visione cristiana della vita. Vincenzo, uomo intraprendente e generoso, con il suo gesto, invece che depositare vicino all’altare della chiesetta un dono per grazia ricevuta o per ottenerne una, aveva voluto offrire al Signore, per il tramite di San Franco, il sacrificio del suo unico figlio, geometra, per l’epoca assai qualificato, nel quale aveva riposto tutte le sue compiacenze, un figlio già offerto alla patria. In quel 13 agosto 1945, nonostante le ristrettezze di un pesante dopoguerra, per l’occasione aveva voluto lassù alcuni componenti di quella banda musicale di Assergi che si esibiva nelle feste. Vincenzo Cipicchia detto “Menzìne”: un figlio di Assergi di cui andar fieri. Questo è l’Acqua di San Franco: un intreccio di storia, di costume e di umanità, ciò che sempre si riscopre in questi antichi luoghi dello spirito, a condizione che si sappiano guardare con occhi carichi di sogno e di carità.

Stampa Articolo Stampa Articolo