Sono trascorsi dieci anni dalla scomparsa di Franco Califano. Un riferimento nella canzone “alta” che è dentro il linguaggio poetico. Era il 30 marzo del 2013.
Nato in aereo nei cieli di Libia nel 1938, o meglio nel cielo di Tripoli. Un destino contrassegnato da nostalgie, avventure, malinconie e del resto che è noia. Franco Califano è nel ricordo del suo sorriso che ha lontananze, distacchi e canti che hanno le nenie dei cori mediterranei.
Un poeta diventato cantautore, ma la sua parola ribelle, e appartenente alla famiglia dei poeti maledetti, è parola di marinai che conoscono il sale dei mari, dei porti toccati e lasciati alle prime luci dell’alba, delle notti vissute nei viaggi delle dimenticanze.
Si ascoltano le sue poesie segnate da “attimi” che toccano l’anima attraverso “appunti” che portano immagini e immaginari e il tutto, però, è un vissuto tra sguardi antichi e ferite che provengono da una vita scontata quotidianamente sul filo della disarmonia e delle scoperte armonie.
Tutto ciò e altro ho sottolineato dieci anni fa nel mio libro dedicato proprio a Califano: “Franco Califano: Sulla punta della matita non sono passati secoli” (il Coscile).
Franco Califano è il cantautore più marcatamente poeta, un poeta di una eleganza che porta all’estasi, la cui lezione proviene da strazi e squarci mai perduti e sempre accantonati tra le pieghe del cuore e le rughe delle mani. La sua amicizia e il suo legame “letterario” con Luigi Tenco restano un appuntamento importante.
La maledizione dei poeti è anche nella bellezza della parola che succhia l’anima e restituisce le memorie con gli scavi delle emozioni. Le emozioni che fanno i passi degli uomini nel coraggio delle scelte e nella coerenza delle idee. Califano aveva il coraggio della coerenza. Anche quando parlava di politica.
“Guardai le tele con aria ironica/E mi giocai i ricordi provando il rischio/Poi di rinascere sotto le stelle/Dimenticai di colpo un passato folle/In un tempo piccolo” (da “Un tempo piccolo”).
Questo tempo piccolo di Califano conosce quelle memorie sommerse che invadono tutta la sua dimensione linguistica, il cui senso è dato dalla “filosofia” della parola. Forse anche per questo gli è stata conferita la laurea honoris causa proprio in filosofia, e le motivazioni pongono all’attenzione il testo “Tutto il resto è noia”. In pochi versi si enuclea una filosofia di vita.
Ma tutto il percorso di Califano è un articolarsi di elementi esistenziali che trovano una loro presenza nelle parole e nelle parole che hanno la magia di una trasmissione straordinariamente efficace sul piano emotivo, lessicale, umano.
“Si d’accordo il primo anno/ma l’entusiasmo che ti resta ancora/è brutta copia di quello che era/cominciano i silenzi della sera/inventi feste e inviti gente in casa/così non pensi almeno fai qualcosa/si, d’accordo ma poi…/Tutto il resto è noia,/no, non ho detto gioia,ma noia,noia,noia/maledetta noia” (da “Tutto il resto è noia”).
La noia è un “elemento” essenziale che si intreccia con le malinconie e l’arcano del sublime che imprigiona in una solitudine che è scelta. Si ha il coraggio di scegliere la solitudine abitandola come l’unica isola possibile per ritrovare e dare un nome ai cammini che ci aspettano, ai cammini trascorsi e ai cammini violati.
“Un vecchio pescatore nun po’ più/portà la barca a remi fin laggiù,/se guarda er mare suo co’ nostalgia,/poi spegne la lampara e così sia./Cammina ma nun c’ha ‘na meta sua,/o’ ‘n’ ombra che je tiene compagnia,/’na vita dedicata tutta ar mare,/ch’è stato er primo e l’urtimo suo amore./È la malinconia… è la malinconia… è la malinconia” (da “E’ la malinconia”.
Questo pescatore si porta dietro ricordi e memorie di mare, di una pescatore forse di coralli, di collanine e di sguardi orientali che hanno gli occhi tra la ricerca delle lingue per dare un segno a quella comunicazione che è conversazione. La poesia di Califano è una conversazione con se stesso e partecipando se stesso agli altri offre pezzi di vita. Forse rischiando un po’. Ma il rischio è nella vita del pescatore, dei marinai, degli uomini provati dal sale, dagli uomini che hanno righe di fascino nell’avventura dei destini.
Un poeta. Dunque. “D’ora in poi/sarà più facile/Una donna così come te diventa improbabile/poi mi specchio e non vedo di là un irresistibile/sento il tempo che senza pietà/ha graffiato il mio fascino” (da “D’ora in poi”).
Versi che hanno delle componenti fortemente ricche di un lirismo pregno di un rapporto infiammante tra eros e distacco. La noia, la malinconia, l’eros. Tre vie per i maestri che suonano i tamburi del tempo piccolo per restare nel vivo che è tutto probabile e nulla è escludibile. Tre vie per i suonatori dei quartieri mai dimenticati. Tre vie per conoscere le donne e l’amore.
Nell’eros ci sono quelle “gambe di fuoco” che hanno la fiamma del sogno e della “passione nei secoli” e le “promesse” e le “molte finzioni” sono la ricchezza del tutto e del nulla nell’infrangibile specchio che vorrebbe portare il pescatore nelle àncore del porto, ma il pescatore non si lascia sedurre dai porti e pur cantando e recitando la malinconia e la noia continua nel suo viaggio in mare aperto. Forse alla ricerca di un vento nell’altura delle maree o di un cielo che possa riportarlo alle radici in quella visione di una Tripoli nella Libia dei Mediterranei vissuti.
Franco Califano è stato imprevedibile, ironico, istrione, “poeta maledetto” nella vita che ha lo stile del rischio e il fascino degli indefinibili misteri. Come la vera poesia in Califano non c’è la storia ma la poesia delle emozioni. Attimi graffianti per una vita intera. Quella vita raccontata recitata vissuta tra poesia e musica.