È necessario ricontestualizzare la normativa relativa alla tutela delle minoranze storiche e linguistiche. Sarebbe anche auspicabile inserirla nella possibile nuova riforma della legge riguardante il ministero della cultura.
Lo studio delle minoranze linguistiche passa inevitabilmente attraverso dei parametri che hanno come elemento di base la conoscenza storica non solo delle lingue, ma anche delle culture e delle civiltà identitarie. La loro presenza sul territorio nazionale comporta una analisi attenta di quei processi pedagogici che si vivono anche all’interno del mondo scolastico che possono essere definiti come modelli della “differenziazione”.
Tra lingua e modello etnico ci sono passaggi che possono essere maggiormente compresi se alla base c’è una volontà di metodologia pedagogico che viene ad essere supportata da precise realtà intersogettive tra la cultura italiana e le matrici ereditarie che si portano dietro i cosiddetti “popoli altri” presenti sul territorio nazionale. Proprio in virtù di ciò la scuola ha un ruolo predominante non solo in quei contesti dove il tessuto linguistico vive di contaminazioni articolate e le lingue assumono il contorno di un vero e proprio bilinguismo ma anche in quelle realtà comunitarie dove si assiste ad una presenza non storica ma contemporanea di presenze minoritarie.
Credo che qui la didattica della integrazione gioca un ruolo significativo.
È naturale che le comunità che si mostrano con una storia di bilinguismo rientrano in quei parametri sanciti dalla legge di tutela ora vigente ma è anche vero, comunque, che diventa necessario stabilire un dialogo tra territori perché, in molte occasioni, un Istituto superiore accoglie studenti che provengono da comunità in cui è forte l’insistenza (in positivo) del bilinguismo.
La Legge di tutela (ovvero la 482 del 99) non prende in considerazione questi casi perché si sofferma su un aspetto giuridico riguardante le comunità o le scuole ricadenti nelle comunità di minoranza linguistica ma sarebbe opportuno aprire un vero dibattito, a tutto tondo, su delle fattispecie che insistono in alcuni Istituti scolastici che non risiedono in dette comunità ma accolgono alunni provenienti da situazioni di bilinguismo storico.
Il dato relativo ad una metodologia didattica e quindi pedagogica mi sembra che debba essere presa in considerazione con molta delicatezza e attenzione. Come altre situazioni riguardanti comunità che hanno mantenuto intatti tradizioni e lingue sino a un determinato perizio e poi hanno perso il rito e la lingua ma sono presenti e visibili i segni di una tangibilità culturale con matrici provenienti da altre civiltà.
Infatti richiamandosi alla questione Arbereshe si riscontrano situazioni in cui molte comunità sono stati Arbereshe sino al 1700 e successivamente è andata perdendosi la lingua e prima della lingua il rito pur consapevoli che ci sono segni significativi di una identità storica albanese che è visibile nelle strutture, nei modelli architettonici, nei rimandi religiosi, nella tradizione di alcuni festeggiamenti.
Ebbene, questo fatto non può essere trascurato e nonostante non ci sia più la lingua Arbereshe c’è da sottolineare che i simboli comunitari della stessa comunità hanno dei richiami precisi senza i quali è impossibile leggere il suo territorio e la sua essenza vera dal punto di vista sia culturale che umano.
C’è da precisare che il concetto di tutela è molto ampio ma si tutela la storia e dentro la storia ed è per questo effetto, non solo giuridico, che il rapporto tra tutela – salvaguardia e valorizzazione – promozione deve poter avere una articolazione che consenta di approfondire, proprio nel campo della tutela delle minoranze linguistiche, elementi e modelli di importanza anche in quelle comunità che hanno perso la lingua (si potrebbe anche dire l’etnia) ma che sono stati e sono dentro una identità storica in cui il valore della diversità culturale ha lasciano segni ben individuabili.
Si tratta di un discorso che deve sottoporsi ad una valenza chiaramente culturale, ma anche giuridica estendendo così il concetto e la visione di tutela.
È naturale che i riflettori devono restare puntati sulla contemporaneità delle presenze minoritarie ma non si possono trascurare testimonianze, che geograficamente a volte ruotano intorno ad uno stesso complesso territoriale, che si manifestano sia attraverso il patrimonio culturale (diciamo beni culturali) sia in una grigia più vasta che va dai rimandi linguistici alle forme di etno – antropologia. In questo senso la scuola può inserirsi in un dibattito che può risultare importante. È precipuo però, ormai, porre mano alla normativa perché è necessario che altre comunità storiche rientrino in una tutela comparata.
*Micol Bruni – Storica delle Minoranze –
(Già Cultore di Storia del Diritto Italiano dell’Università di Bari