Striscia di Gaza, almeno sette le guerre negli ultimi diciotto anni. Siamo davanti a una tragedia umanitaria spaventosa, l’”ultima goccia” di un vaso ricolmo di tensioni che può avere sviluppi, ad oggi, inimmaginabili. Da quando Hamas ha il controllo della Striscia (2007), Israele l’ha dichiarata “territorio ostile”. Interrompendo per lunghi periodi la fornitura d’elettricità, di carburante e di beni essenziali, oltre che bloccando le esportazioni. I lanci di razzi Qassam sulle città israeliane hanno di volta in volta peggiorato la situazione. Perché questo attacco? Intanto per fermare gli Accordi di Abramo, il “Diluvio di Al Aqsa” potrebbe rallentare se non addirittura annullare la normalizzazione tra paesi arabi e Israele. Neanche due settimane fa il premier israeliano Benjamin Netanyahu all’Onu ha illustrato la sua idea per un “nuovo Medio Oriente con l’Arabia Saudita e altri vicini”, e di un “nuovo corridoio di pace e prosperità” con i palestinesi. Già preistoria. Chi ci guadagna da questa nuova escalation? Il portavoce di Hamas, Ghazi Hamad, ha dichiarato alla Bbc che l’Iran ha dato il proprio sostegno a Hamas nell’attacco a sorpresa contro Israele. E poi probabilmente lo stesso Netanyahu, che stava per essere travolto dalle sue – poco felici – scelte politiche e che invece, come leader di un paese in guerra, rimarrà saldamente al comando. Chi ci perde? Probabilmente, come sempre, tutti. I civili e i militari israeliani morti in queste ore, i civili di Gaza rimasti sotto le macerie dei bombardamenti di questa notte ma anche tutti i palestinesi non allineati ad Hamas che soffrono povertà, malnutrizione e sopravvivono in condizioni davvero al limite, da sempre. Il conflitto pare intanto allargarsi ai confini nord con il Libano. Parallelismi con la guerra del Kippur (1973)? Abbastanza limitati. Rimane chiaro a tutti che un nuovo conflitto di faglia è nuovamente deflagrato, che sarà difficile venirne a capo e che contribuirà ad alterare i già complessi equilibri geopolitici dell’area.
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