Roma, 4 ottobre 2023 – Alcuni elementi non chiariti fanno del nostro paese, il minuscolo non è un errore, un aggregato di approssimazioni e di vacuità che sono state inculcate nella società e che nemmeno le prove documentali più eloquenti fanno rimuovere.
La prima cosa da tener presente è che non siamo ancora usciti da un nefasto dualismo apparentemente filosofico ma, in realtà, pratico e concreto. Mi riferisco al dualismo fra “idealismo” e “pragmatismo”.
“L’idealismo è la convinzione che dovremmo adottare principi morali sempre, pur se essi hanno effetti negativi sulla nostra vita. … Il pragmatismo, invece, è il rifiuto dell’idealismo. Se i principi dell’idealista si intromettono, l’empirico fa tutto ciò che è ritenuto pratico, senza preoccupazioni per la moralità.”
Fra queste due scuole di pensiero, dell’Idealismo e del Pragmatismo, l’italiano medio, non me ne voglia il lettore, ha scelto la doppia e comoda via: quella dell’imperativo ideale con una concezione etica forte e rigorosa per quanto riguarda gli altri mentre, per sé, fa tutto ciò che ritiene pratico e conveniente senza preoccupazioni morali.
Se non si prende atto di questa camaleontica capacità è difficile che l’Italia possa risorgere ed acquisire peso e ruolo in Europa e nel mondo. A chiacchiere tutti o quasi invocano questo peso e ruolo che dovremmo riavere, ma basta un qualsiasi problema che gli abitanti dello stivale ritornano al Medio Evo dividendosi subito in “guelfi” o “ghibellini”. In questo aiutati, anzi sollecitati, dagli “storici della narrazione” che nelle Tv e nelle radio imperversano ed assurgono al ruolo di sacerdoti delle verità. Sono presenti quasi ovunque dalla Rai a Mediaset a La7 fino alle stazioni locali. Per gli incarichi meglio remunerati stanno nelle reti nazionali e provengono, guarda caso, dai media cartacei definiti ancora autorevoli senza notare che non li compra più nessuno basta guardare i dati ufficiali delle copie vendute. Altri loro colleghi sempre della carta stampata, invece, hanno appoggiato ed esagerato le folli demagogiche campagne che chiedevano le teste di alcune categorie per arrivare all’idealismo assoluto: “dichiarare di aver eliminato la povertà”. Come è possibile che il 33% ha creduto a queste sciocchezze? Semplice, scrivendo “libri contro” ed incassando milioni di euro dalle loro vendite senza dire ovviamente dei veri privilegiati che erano altrove ed in numero molto maggiore.
La prima cosa da stabilire è che bisogna comprendere la profonda e totale differenza che c’è fra la “Narrazione” e la “Storia”.
La narrazione, ormai dilagata ovunque nell’ultimo trentennio, è una forma ancestrale e potentissima di comunicazione che tocca le corde della pancia degli individui per cui, raccontare narrazioni, è il modo ed il mezzo principale per manipolare e, soprattutto, convertire gli altri. Essa ha lo scopo primario e principale di condizionare e influenzare le menti altrui e, dopo averli asserviti, lasciarli ai programmi di sedicente svago come la miriade di programmi in cui tutti aspirano o credono di essere ballerini, cantanti, chef o pasticcieri. La Storia, invece, deriva dal greco “ἱστορία (historía)” che significa “ricerca e indagine” ed è la disciplina che si occupa dello studio del passato tramite l’uso di fonti, di documenti, testimonianze e racconti che trasmettono il sapere del passato che consente di comprendere il presente e cercare di costruire il futuro. Al nostro paese manca quello che è funzionale all’esistenza di una moderna democrazia liberale: la funzione del controllo che, guarda caso, è un elemento fondante del pragmatismo. Cioè quello che si dovrebbe esercitare, in primis, sul territorio dal quale deriva direttamente tutto: il fisco, la giustizia, la sanità ecc. e innescarvi sopra la massima cinese: “non importa che il gatto sia bianco o nero; cio’ che conta è che acchiappi i topi!” che è l’esatto contrario di quello che si è fatto negli ultimi 30 anni passati a dissertare sui colori del topo ma, soprattutto, rinviando il controllo alle procure che intervengono a posteriori quando il danno, laddove se ne avvedono, è fatto.
Alla mancata funzione del controllo bisogna affiancarvi i tre vizi capitali:
1) la cultura del sospetto che è l’esplosiva miscela sviluppatasi come una metastasi in tutto il paese ed è il vero fondamento della barbarie;
2) la cultura dietrologica che intravede sempre un’ansa nascosta che, spesso, non esiste e che nasconderebbe fatti inenarrabili;
3) la cultura post ideologica che santifica la propria parte politica/economica sociale ecc. mentre l’altra è il buco nero di tutti i mali.
Questo micidiale ed esplosivo cocktail ha totalmente avvelenato i pozzi della nostra democrazia. Un vero triangolo delle bermude che ha inghiottito tutto generando quel male, ormai endemico, del giustizialismo ovunque e comunque quale figlio legittimo dell’idealismo che, affiancato dalla giustizia mediatica imperante, ci ha civilmente, economicamente e socialmente distrutto.
Valga in conclusione la massima di Winston Churchill che affermò: «Mi piacciono gli italiani perchè vanno alla guerra come fosse una partita di calcio e vanno a una partita di calcio come fosse la guerra».
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