Quando i migranti sono bambini

Usa, il Guardian denuncia: “Rinchiusi in gabbie”

Quando i migranti sono bambini, la coscienza politica e sociale dell’America di Trump si è svegliata con il reportage del Guardian e di un gruppo di politici che ha raccontato al mondo le condizioni di accoglienza in una struttura del Texas. Bambini dentro gabbie in attesa di un verdetto sulla possibilità o meno di rimanere negli Stati Uniti, l’Onu tuona: “inammissibile”. Oltre 2mila i minori separati dalle famiglie, secondo i numeri pubblicati dal Guardian, deciso anche l’intervento della First Lady Melania: “Governare con il cuore”.

Separati per giorni, a volte settimane, chiusi in gabbie con acqua e patatine e con solo delle coperte termiche per la notte, questa la condizione dei bambini migranti tra il Texas e il Mexico nei centri di detenzione secondo il reportage pubblicato domenica. A raccontare le condizioni dei minori sono i giornalisti del Guardian, ammessi in una di queste strutture insieme a un gruppo di deputati americani, ai reporter e ai politici non è stato consentito scattare fotografie né intervistare le persone incontrate. La situazione è figlia della politica di tolleranza zero messa a punto nelle ultime settimane dall’amministrazione Trump, i migranti intercettati, quindi, vengono separati dai figli e portati in luoghi diversi ad aspettare il verdetto sulla possibilità di restare o meno negli Usa.

La separazione può durare giorni o settimane e riguarda anche bambini molto piccoli: il Guardian parla di una adolescente costretta a prendersi cura di una bambina piccola con il pannolino in una delle gabbie, in attesa del ritorno di un’altra parente. Si tratta di 2mila bimbi che oggi sono separati dai genitori, una situazione che sta creando non poche tensioni negli Usa, le associazioni per la difesa dei diritti umani sono tutte schierate contro la decisione presa da Washington e la stessa Melania Trump ha criticato il marito.

Insomma, sempre più America First, ma a che prezzo? Continuando così ci vorranno decenni per ristabilire un’immagine positiva che con “The Donald” pare irrimediabilmente in discesa.

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