In una temperie di ostinate precipitazioni di macerie porre l’attenzione sulla filosofia come destino non so sei un fatto complesso o una visione come idea oraziana. È certo che il pensiero è il pensare pongono un problema.
Se non si lascia ingabbiare dalle forme militanti del sistema la filosofia resta la ricerca della verità o il dubbio che la stessa ricerca si pone. E quindi entra nella sfida e si incornicia come destino ma anche come mistero. Altrimenti cade nella dimensione del vuoto e si lascia catturare non dalle Idee ma dalle ideologie.
Non sono più le “cose” al centro del suo tempo essere. C’è, invece, un orizzonte di senso della vita stessa. Non si tratta del nascere e del morire. Ma dell’uomo come linguaggio di espressione tra l’assoluto e il nulla.
Vivere il nulla ha già un suo orizzonte. L’assoluto è il tutto della infinitudine. Ma entrambe sono distante delle cose. Chiamiamole per nome. Diamo un nome alle cose. Si vive abitandosi o ci si lascia vivere. Il concetto di abitare o farsi abitare è fondamentale.
Ma si abita nella propria casa non dimenticando, comunque, di stare in affitto. La differenza è qui. Ma anche l’indifferenza. Sgalambro ha recitato la sua parte come un individuatore del dubbio nella verità. Un filosofo che, come Maria Zambrano, ha chiesto al linguaggio e al pensare di non focalizzarsi sulla storia, ma di disarticolarla per mezzo del tempo.
Non un tempo utile. Ma un tempo al limite. È certo che il tragico è un incipit fondamentale tra la spezzatura di un esilio dalla realtà o un assurdo del reale o l’isola nel paradosso tra il mito e il destino.
Pur convivendo con il mito, il destino non è una credenza ma una consapevolezza. Soprattutto per chi crede di affidarsi alla parola come volontà di potenza. Certo Nietzsche è fondamentale.
Ma soprattutto Schopenhauer che trova nella rappresentazione del tragico l’Oriente. La capacità di avvertire la salvezza nei nodi slegati dagli Orienti. E perché non parlare di Gozzano che cerca di superare il crepuscolo con la luce dell’India?
Il destino si lega al tentativo di salvezza e al vento del deserto. La questione che si pone si focalizza ancora sul tempo. Ma la parola è in grado di risolvere il presente e il passato attraverso il linguaggio.
La parola del filosofo, che è una parola pensante, è un linguaggio, dunque, non delle cose e sulle cose ma del superamento del fattore soltanto fenomenologico. È qui il punto. Senza alcuna metafisica, quella zambraniana, neppure il dato fenomenologico può trovare una sua azione pensante efficace. Sgalambro non rompe con la tradizione. Ma vorrebbe legarla alla vita del quotidiano.
Il fatto che scriva un testo sulla Teoria della canzone testimonia che quel filosofo della caverna o della grotta oggi non capirebbe il contesto delle variazione e si correrebbe il rischio di far marcire ogni pensiero nascente. Bisogna non lasciare il presente per comprendere la tradizione e quella eredità greca dei greci pre italici ma siculi.
Il riferimento a Gorgia è fondamentale. Ma con la canzone riprende, infatti, una tradizione siciliana e dello stil novo sino a Dante a tutto il Barocco e primo Novecento.
Nel suoi testi gli aforismi come inserti che trovano in Epicuro e anche Cicerone e Seneca la variante delle Variazioni. Per Sgalambro la filosofia non è mestiere. Ma un destino, come il mito in Pavese e la disperazione in Cioran e l’assurdo in Camus. Tre autori che intrecciano letteratura e filosofia. Se si inserisce Ceronetti il tracciato ha una poetica di base nella quale intercettare significanti è raccogliere esperienze e vissuti.
È certo che insistono formazioni e letture greco orientali e sciamaniche che nella morte del sole si racconta in una memoria di civiltà compresa quella completamente mediterranea degli dei e degli archetipi.
Comunque resta ben saldo un valore di fondo che è quello, appunto, del tempo che non si supera, ma si attraversa e si abita. L’essere e il tempo di cui parla Heidigger, ma dell’Heidigger soprattutto di Rachel Bespalloff. Non si inventa. Si soffre il pensiero. La filosofia è un viaggio.
Il filosofo è un destino. A volte viaggio e destino sono imprescindibili dal tempo dell’uomo. A volte. Non sempre. Ma il filosofo è un destino. Come il poeta.
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Pierfranco Bruni è nato in Calabria e vive tra Roma e la Puglia. Scrittore, poeta, italianista e critico letterario, già direttore archeologo presso il Ministero della Cultura. Esperto di Letteratura dei Mediterranei, vive la letteratura come modello di antropologia religiosa. Ha pubblicato diversi testi sulla cristianità in letteratura. Il suo stile analitico gli permette di fornire visioni sempre inedite su tematiche letterarie, filosofiche e metafisiche. Si è dedicato al legame tra letteratura e favola, letteratura e mondo sciamanico, linguaggi e alchimia. Ha pubblicato oltre 120 libri, tra poesia saggistica e narrativa. È presidente del Centro Studi e Ricerche “Francesco Grisi”. Ricopre incarichi istituzionali inerenti la promozione della cultura e della letteratura. Quest’anno con decreto del Ministero della Cultura Mic , è stato nominato Presidente della Commissione per il conferimento del titolo di “Capitale italiana del Libro 2024“. Recente è inoltre l’incarico assegnato sempre dal Mic di Componente della Giunta del Comitato nazionale per il centenario della morte di Eleonora Duse (21 aprile 1914 – 21 aprile 2024) e direttore scientifico nazionale del Progetto Undulna Duse 100.@riproduzione riservata