Palermo, 31 anni dopo Padre Puglisi

il silenzio, la resistenza e il cambiamento che non arriva

di Francesco Mazzarella

Sono trascorsi 31 anni dall’assassinio di Padre Pino Puglisi, il sacerdote che sfidò la mafia a Brancaccio, uno dei quartieri più difficili di Palermo. Era il 15 settembre 1993 quando la mafia lo uccise davanti alla sua casa parrocchiale, un gesto che rimane uno dei simboli più tragici della resistenza contro Cosa Nostra. Oggi, guardando a quei fatti con oltre tre decenni di prospettiva, Palermo continua a combattere con i fantasmi del passato, ma anche con le contraddizioni del presente.

Padre Puglisi e la sfida alla mafia

Padre Puglisi non era un uomo di potere né un politico. Era un prete di strada, che aveva fatto della sua missione quella di dare speranza ai giovani di Brancaccio. In un quartiere dominato dalla criminalità organizzata, si era messo di traverso, sottraendo alla mafia una delle sue risorse più preziose: i ragazzi. Attraverso la chiesa e le attività educative, Puglisi insegnava ai giovani che c’era un’alternativa alla vita di criminalità, che era possibile scegliere il bene anche in un ambiente di miseria.

La sua uccisione fu un segnale chiaro. La mafia lo considerava pericoloso non perché avesse un potere economico o politico, ma perché sfidava il sistema di controllo psicologico e sociale che Cosa Nostra aveva costruito attorno ai giovani. La sua morte non fu solo un atto di violenza fisica, ma un tentativo di spegnere la speranza.

Il cambiamento mancato

Oggi, Palermo si presenta come una città con un piede nel futuro e uno incastrato in un passato che sembra difficile da superare. Il ricordo di Padre Puglisi è vivo: strade e piazze portano il suo nome, le commemorazioni si susseguono ogni anno e la sua figura è stata beatificata dalla Chiesa cattolica. Ma al di là della memoria e dei simboli, cosa è cambiato veramente?

Brancaccio, come molti altri quartieri della città, rimane una zona di grande disagio sociale. La criminalità organizzata è meno visibile di un tempo, ma la mafia si è adattata, spostandosi verso settori più sofisticati come l’economia legale e l’infiltrazione negli appalti pubblici. I clan continuano a esercitare il loro potere, in modo più subdolo ma altrettanto efficace. Il controllo sociale non passa più solo attraverso la violenza diretta, ma attraverso meccanismi economici e politici, che rimangono complessi da smantellare.

Il ruolo dello Stato e della Chiesa

Uno degli aspetti più dolorosi della vicenda di Padre Puglisi è la lentezza con cui le istituzioni hanno reagito. Negli anni ’90, la Chiesa era spesso divisa tra chi voleva affrontare apertamente il problema della mafia e chi preferiva mantenere un atteggiamento di silenzio. La beatificazione di Puglisi nel 2013 ha rappresentato un importante segnale di condanna da parte della Chiesa, ma molti si chiedono se questo sia sufficiente.

Anche lo Stato ha avuto difficoltà a essere presente. Brancaccio, come molte altre periferie italiane, rimane una zona in cui lo Stato sembra spesso assente. Le forze dell’ordine lavorano incessantemente, ma il tessuto sociale non è mai stato ricostruito a sufficienza. Mancano infrastrutture adeguate, mancano opportunità economiche, mancano scuole che possano davvero offrire un’alternativa.

La nuova resistenza

Nonostante tutto, a Palermo c’è ancora chi lotta. Le associazioni antimafia, le scuole, e alcuni settori della Chiesa continuano l’opera di Puglisi. I giovani sono di nuovo al centro del dibattito. Progetti di educazione civica, iniziative sociali e culturali cercano di sottrarre le nuove generazioni al destino di povertà e criminalità.

Tuttavia, il cambiamento reale sembra ancora lontano. La crisi economica, la disoccupazione e la pandemia hanno aggravato situazioni già fragili. La mafia, intanto, non si ferma. Si adatta ai tempi, sfruttando ogni occasione per infiltrarsi dove ci sono vuoti istituzionali e sociali.

Conclusione: un’eredità che chiede ancora risposte

A 31 anni dalla morte di Padre Puglisi, Palermo rimane una città divisa tra la voglia di cambiamento e l’incapacità di liberarsi del tutto dal controllo della mafia. Il sacrificio di Puglisi è stato un segnale potente di resistenza, ma da solo non è bastato. Il ricordo di quel prete coraggioso ci ricorda che la lotta non è finita, e che la vera vittoria arriverà solo quando i quartieri come Brancaccio saranno finalmente liberi dalla paura e dall’indifferenza.

Il cammino è ancora lungo, ma la speranza che Padre Puglisi ha seminato continua a germogliare, anche se timidamente, tra le strade di una città che aspetta ancora il suo riscatto.

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