Bernie Sanders, l’uomo “copertina” negli Stati Uniti, oggi. La “rivoluzione-giovane” anti-Hillary (Clinton) del veterano socialista in questi giorni sta oscurando la donna che, stando ai sondaggi, dovrebbe vincere le primarie del Partito Democratico. Ieri sera i due candidati del “partito dell’asinello” si sono contesi la palma di “vero progressista” nell’ambito dell’ultimo dibattito prima del voto nel New Hampshire di martedì prossimo, secondo Stato americano in cui si vota per le primarie. I sondaggi, oggi, hanno ribaltato le previsione fatte poche settimane fa e danno un vantaggio di circa venti punti percentuali a Sanders sulla Clinton, già. I dati dei vari Wall Street Journal/Nbc/Marist indicano infatti il 58% per il socialista e il 38% per Hillary, impensabile appunto pochi giorni fa. Una carriera, quella di Sanders, fatta quasi esclusivamente nel Vermont senza etichette e sostenuta da un immagine fortemente indipendente (ha rifiutato persino la tessera del partito!). Il suo modo di gesticolare e il suo evidente accento popolare di Brooklyn hanno fatto “centro” in questa prima tornata delle primarie, lui ama definirsi socialista democratico senza tema di apparire anacronistico o di offendere i più radicati tabù della politica americana. Paradossalmente la sua schiettezza lo ha portato a raggiungere – in questa primissima fase – gli elettori del Partito Democratico, in particolar modo sono i giovani che stanno spostando gli equilibri, le generazioni X e Y, i millennials diventati adulti nel nuovo secolo. Il risultato conseguito in Iowa ha già mostrato come il suo pareggio con la grande favorita fosse il risultato di una rivoluzione se non ancora politica almeno generazionale: ha staccato di 70 punti percentuali Hillary tra gli elettori di età compresa tra i 17 e i 29 anni, contro i 43 punti inflitti da Obama alla stessa Hillary nel 2008. Nel prossimo Stato protagonista del voto – il New Hampshire – l’appeal è molto simile, secondo Marist ad esempio il 76% dei probabili votanti alle primarie democratiche, fra i giovani sotto i 30 anni, si dice intenzionato a votare per il senatore del Vermont contro il 24% che si schiera a fianco di Hillary. Anche il 64% delle donne sotto i 45 anni è con lui. Nel 2008 il «Yes we can» di Obama conquistò il 60% degli elettori delle primarie tra i 18 e i 24 anni e la metà di quelli tra i 25 e i 29 anni. Quali saranno le prossime mosse di Sanders? Intanto fare “breccia” altrove, pescare nelle altre fasce d’età fino adesso pendenti verso la Clinton, poi conquistare le comunità afroamericane e ispaniche fedeli alla moglie dell’ex presidente Bill Clinton soprattutto in South Carolina e in Nevada. Staremo a vedere, le primarie sono ancora lunghe e ci saranno di certo altri colpi di scena. Intanto l’offensiva progressista – fuori dagli schemi – di Sanders ha vinto la prima battaglia contro il pragmatismo dei piccoli passi incarnato dalla Clinton, forse troppo “timorosa”. Le sue proposte sono semplici e descritte con naturalezza: un sistema sanitario nazionale contro i miglioramenti di una riforma Obamacare che resta troppo cara per ampie fette di ceti medi e bassi. Ritorno al Glass-Steagall Act, alla separazione tra banche e banche d’investimento, contro la difesa dell’attuale Dodd-Frank. Università pubblica gratuita pagata con una imposta sulla speculazione a Wall Street, contro modesti aiuti a ridurre i debiti della rivale. Un salario minimo subito portato a 15 dollari l’ora, senza le mezze misure dei 12 dollari della Clinton. Nato e cresciuto a Brooklyn in una famiglia di origine ebraiche polacche e russe, Sanders dice di aver capito ben presto l’importanza della politica: «Un tale che si chiamava Adolf Hitler vinse un’elezione e 50 milioni persone morirono». Il 2006 fu l’anno della svolta, viene eletto al Senato e si batte fin da subito contro gli sgravi fiscali voluti da George W. Bush per i redditi più alti, per riforme del sistema giudiziario che non penalizzino le minoranze, per i diritti degli omosessuali e contro la guerra in Iraq. Un uomo che attacca, un uomo che spesso vince.
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