Essere estranei e in viaggio. Da Casanova a Camus

...Tra letteratura e filosofia Casanova apre un vortice nuovo in cui la vita è mosaico del destino... Oltre la bellezza giunta nel momento in cui tutto diventa provvisorio. In questo momento è la metafisica che si pone come barriera o orizzonte...La sua opera non fu forse un'opera d'arte data alla vita? A quella vita abitata da Alvaro nei suoi labirinti, a Camus nella sua rivolta, a Pirandello nelle sue maschere, a Zambrano nel sentire l'esilio come metafisica dell'anima. Ma Casanova non fece sempre un viaggio tra gli esili?

PIERFRANCO BRUNI

Si è estranei o si è cadenti? Esclusi? La vita ha sempre da raccontare avventure sul filo del destino. Siamo infatti destino. Tutto è destino ebbe a dire Pavese. Nelle sue Memorie Giacomo Casanova scrisse un destino tra la storia che visse e le finzioni che si fecero finzione. Il Settecento fu l’epoca della ragione e non del destino. Ma Casanova cercò di sconfiggere la ragione anteponendo ad essa la finzione come sogno che si incava proprio nel destino. Ma il destino può essere sogno. Casanova visse il destino come sogno. La letteratura del Novecento come accolse questa “ambizione”? Essere estranei o sentirsi estranei? Casanova superò ciò con il desiderio e il viaggio: “L’uomo più felice è quello che conosce meglio l’arte di rendersi tale senza venir meno ai propri doveri, e il più infelice è quello che ha scelto un modo di vivere che lo costringe a fare ogni giorno, dal mattino alla sera, malinconiche riflessioni sull’avvenire”. Temi fuorvianti? Cosa è la vita?
Stranieri o esclusi? Pirandello, Alvaro, Camus e Zambrano.
Corrado Alvaro scriveva: “La vita non è altro che una comunione di solitudini”. La comunione di solitudine è uno straniamento che ci conduce verso la finzione. La Medea di Alvaro è il teatro della recita senza maschera. Come l’Alcesti. In questa condizione si viaggia con la memoria sommersa accanto e con quella del “sottosuolo” dentro. Lo straniero e l’assurdo. La caduta con il riso e la risata nella confusione. La solitudine e l’angosciosa incertezza. Sono percorsi di anima. Viaggi di esistenza. Erranze nei cuori e nel tempo che illumina e chiede di capire il mistero. Com’è possibile capire e comprendere il senso del mistero? Il mistero è un sentiero ma è anche un linguaggio. Le letterature sono linguaggi di parole che inventano, creano immagini su uno palco-scenico la cui ribalta è data dal personaggio che anima la scena. Che anima… l’anima…
Anima: un sentiero di orizzonti che ci fa sentire centomila e nessuno ma anche uno, come il Mattia Pascal che ombreggia una richiesta di pietà. Ombreggiare la pietà è viversi come pagliacci alla ricerca di una filosofia. Soltanto così è possibile salvare la bellezza. Quella bellezza che è “l’aspirazione alla pienezza e alla realizzazione interiore” (Tzvetan Todorov). Aspirazione vissuta come profezia che passa attraverso il mistero del canto della pietà.
Siamo tutti assurdi. Pirandelliani e poi camusiani nella cadenza della caduta, ma siamo anche come il pagliaccio raccontato da Maria Zambrano: “Il pagliaccio mima da sempre e con successo infallibile la situazione peculiare di chi pensa e sembra stare in un altro mondo, muoversi in un altro spazio, libero e vuoto”. Sul palcoscenico della vita siamo tutti dei Mattia Pascal o dei Nessuno. O forse restiamo impigliati in un gioco casanoviano Siamo un Ulisse che viaggia con un viaggio accanto, mentre il sor-riso esplode negli occhi. Pirandello, in Il fu Mattia Pascal, ha scritto: “Ormai noi tutti ci siamo a poco a poco adattati alla nuova concezione dell’infinita nostra piccolezza, a considerarci anzi men che niente nell’Universo, con tutte le nostre belle scoperte e invenzioni…”.
Ci sono, comunque, sempre degli esclusi. Gli esclusi sono gli estranei. Gli estranei non sono gli assenti. Sono i presenti. Presenti e esclusi. Pirandello è l’interprete di un colloquio mai interrotto tra l’assurdo e il riso. Un colloquio che va sempre nel segno di una ricercata “pietà”. Così è! Come in Uno, nessuno e centomila.
L’esistenzialismo estetico costituisce la chiave di lettura in un viaggiare oltre la forma ma tra i linguaggi.
Pirandello, ben conosciuto da Maria Zambrano, è un porto lungo l’esistenzialismo e lungo i parametri estetici. Di questi parametri si serve il personaggio che vive la caduta e l’assurdo. In un intreccio istrionico il gioco si rafforza e diventa maschera. Nella maschera si cela, però, sempre la confessione dell’uomo (straordinario il saggio di Maria Zambrano Il pagliaccio e la filosofia), come in Alvaro: “Una nave di emigranti tornava in patria. Alcuni di questi emigranti, in vista della patria, impazzirono vaneggiando di essere diventati tutti ricchi”. Una metafora importante che trasforma il sottosuolo in sommerso e viceversa. D’altronde, la finzione è sempre teatro. È una osservazione molto cara a Casanova.
Alla fine della vita, in quella deriva in cui mistero e pietà cercano di incontrarsi (“la pietà è saper trattare col mistero”, Maria Zambrano) affiora costantemente il non volto del Nessuno o dell’Uno: “Dunque per gli altri sono quell’estraneo sorpreso nello specchio: quello, e non già io quale mi riconosco: quell’uno lì che io stesso in prima, scorgendolo, non ho riconosciuto” (Luigi Pirandello “Uno, nessuno e centomila”).
Tutto s’impiglia in quel “vedersi vivere” che è la determinazione dell’assurdo nella solitudine. Qui l’incontro tra Camus e Pirandello diventa uno snodo. Il “ritrovarsi improvvisamente” di Pirandello, nell’inquietante vita, diventa una richiesta d’amore, come nell’assurdo in rivolta di Camus (“L’assurdo regna in questo mondo, e solo l’amore ci salva”). Perché vivere l’inquietante è vivere già oltre, anzi fuori. Occorre sempre restare in se stessi per recepire il mistero e la pietà.
Una forte e calma osservazione di Pirandello: “Oh, signore, lei sa bene che la vita è piena d’infinite assurdità, le quali sfacciatamente non han neppure bisogno di parer verosimili; perché sono vere” sembra essere ripresa da Camus quando afferma: “l’assurdo è la lucida ragione che constata i suoi limiti”.

Pirandello e Camus si ritrovano insieme lungo le strade che portano verso il mistero e la pietà. Ancora Maria Zambrano indica la strada quando afferma: «Il mistero non si trova fuori; sta dentro ognuno di noi, ci circonda e ci avvolge. In lui viviamo e ci muoviamo. La guida per non perderci in lui è la Pietà». Infatti Pirandello ha sempre chiesto, attraverso i suoi personaggi e la sua lingua, di non perdersi nel mistero e ha dato costantemente voce alla “Pietà”. I suoi porti sicuri sono l’assurdo, il mistero, la maschera, la pietà. Porti che si sono trasformati in linguaggio.
Tanto da far dire a Corrado Alvaro che «la sua lingua, al principio ripicchiata e di vocabolario, diviene nel meglio della sua opera un modo d’esprimersi naturale, come si esprimono gli elementi nella luce; le sue manie a un certo punto investono l’uomo e divengono rimpianti di angeli decaduti, incubi, segni del destino. Tanto è vero che non c’è grande poeta senza idee fisse». Ma qual è il segno indivisibile in un Pirandello che chiede alla pietà di farsi luce, voce, parola? Forse è ciò che afferma Pietro Mignosi, quando coraggiosamente ebbe a scrivere: “L’opera di Pirandello si riannoda storicamente a quella rinascita della letteratura religiosa, che sotto forme più varie ed eterodosse cela il grande mistero dell’anima naturaliter christiana”.
Un andare oltre. Direbbe Casanova. Ma oltre la bellezza giunta nel momento in cui tutto diventa provvisorio. In questo momento è la metafisica che si pone come barriera o orizzonte. Perché il riso che nasce dal sorriso ci appartiene dentro la consapevolezza della pietà e del mistero. Quando arriva la morte, il pagliaccio, al quale ho fatto riferimento in termini zambraniani, smette la sua maschera e rischia la sua ombra. La passione per il vivere inquietante si fa rappresentazione di una voce – parola. Pirandello, Alvaro, Camus, Zambrano rimangono nel buio a luci spente, ma c’è sempre la metamorfosi della notte che si appiglia a un filo di chiaro, nonostante il bosco nel quale ci siamo immersi. Stranieri o esclusi? Caduti o in solitudine?
In tutto questo cosa ha a che fare Casanova? La maschera, l’assurdo, la teatralità, la finzione sono codici che Casanova ha trasportato dal Rinascimento all’epoca in cui la ragione regnava ma che egli trasformò in visioni oniriche nel vero della vita. Se si pensa a tutta la vita di Casanova non fu forse un assurdo? Tra letteratura e filosofia Casanova apre un vortice nuovo in cui la vita è mosaico del destino. La sua opera non fu forse un’opera d’arte data alla vita? A quella vita abitata da Alvaro nei suoi labirinti, a Camus nella sua rivolta, a Pirandello nelle sue maschere, a Zambrano nel sentire l’esilio come metafisica dell’anima. Ma Casanova non fece sempre un viaggio tra gli esili?

Pierfranco Bruni è nato in Calabria e vive tra Roma e la Puglia. Scrittore, poeta, italianista e critico letterario, già direttore archeologo presso il Ministero della Cultura. Esperto di Letteratura dei Mediterranei, vive la letteratura come modello di antropologia religiosa. Ha pubblicato diversi testi sulla cristianità in letteratura. Il suo stile analitico gli permette di fornire visioni sempre inedite su tematiche letterarie, filosofiche e metafisiche. Si è dedicato al legame tra letteratura e favola, letteratura e mondo sciamanico, linguaggi e alchimia. Ha pubblicato oltre 120 libri, tra poesia saggistica e narrativa. È presidente del Centro Studi e Ricerche “Francesco Grisi”. Ricopre incarichi istituzionali inerenti la promozione della cultura e della letteratura. Quest’anno con decreto del Ministero della Cultura Mic , è stato nominato Presidente della Commissione per il conferimento del titolo di “Capitale italiana del Libro 2024“. Recente  l’incaricoassegnato sempre dal Mic di Componente dellaGiunta del Comitato nazionale per il centenario della morte di Eleonora Duse (21 aprile 1914 – 21 aprile 2024)  direttore scientifico nazionale del Progetto Undulna Duse 100.Oltre alla presidenza del Comitato Nazionale per le celebrazioni di Manlio Sgalambro a 100 anni dalla nascita indetto dal Ministero della Cultura  (MiC)
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