Marilena Cavallo – Curatrice del volume
In Manlio Sgalambro la metafisica può essere empirica? Una epistemologia che riguarda chiaramente l’uomo ma è un uomo non solo contemporaneo o moderno. È l’uomo storico che ha bisogno del mito. Un siculo greco si porta cucito nei pensieri l’isola con tutta la sua geografia isolana ma anche con le voci di un mediterraneo che diventano espressione tra Epicuro e Talete.
“Manlio Sgalambro. L’empietà del greco siculo”, Pellegrini Editore, di Pierfranco Bruni con contributi di Alessio Cantarella, Rosaria Scialpi, Luca Siniscalco, Annarita Miglietta, Micol Bruni, Mimma Cucinotta, Silvia Gambadoro, Maria Grazia Destratis, Stefania Romito. Prefazione di Paola Passarelli, Direttore Generale del Mic e Premessa di Tonino Filomena, segretario del Comitato Nazionale Sgalambro del Mic.
Ma cosa è questo viaggio nella filosofia di Sgalambro?
Dice bene Paola Passarelli quando afferma che Bruni usi “una prosa poetico-filosofica che può vantare come nobile antecedente – passando per Nietzsche – i frammenti dei presocratici”.
È certo che il “marasma” eclettico aristotelico ha un sopravvento distonico soprattutto quando campeggiano quelle macerie che sembrano essere il sottosuolo di Dostoevskij. Con Dostoevskij primeggiano le rovine dell’anima.
Macerie e rovine potrebbero essere comparazioni ma sono appunto distonie. Cosa primeggia?
Il pensiero o l’idea del pensiero? Entrambi si raccontano tra un uso del “Trattato” e un un uso della “Teoria”. Un imprimatur ha il senso di rivolta. Senza di esso non ci sarebbero le considerazioni sul mondo pessimo. Qui recupera Camus. Non ci sono dubbi.
Per recuperare Camus comunque si allontana completamente da Hegel perché si allontana di ciò che era stato Voltaire. Attraversa la “sana civiltà” di Rousseau per edificare un richiamo vichiano non dei contrari kantiani ma della ciclicità della volontà di potenza. È come se lancessa un dardo nella tragedia greca raccogliendo la “gai scienza” di Nietzsche. Ha vissuto Nietzsche superando la “ragione della critica pura”? Possibile chiarirlo soltanto con la poesia. Non c’è poetica alcuna se non con il viaggio.
Non bisogna cercare. Bisogna essere trovare. Un antico dilemma che è nel Viaggio non delle Civiltà soltanto bensì dell’uomo. L’uomo non è moderno e tanto meno contemporaneo. L’unico uomo possibile è quello greco?
Ritorna a Gorgia? Forse anche a Platone. Ovvero alla forestazione della caverna. In tale contesto l’uomo prende consapevolezza che porta nel cuore la consolazione della misantropia. La morte del sole è una metafora lunga fino a quando il sole non troverà l’alba. Ma in mezzo c’è Vico? La morte è per sempre. Ma il sempre è l’eterno o soltanto ciò che può avvertirci che il finito è un infinito e viceversa?
Cercare di dare una risposta non sta nella filosofia di Sgalambro. La vita è moritura. Ma la morte muore davvero? Il paradosso è una verità non cercata. Purtroppo neppure trovata.
Sgalambro apre un intaglio nel concetto di eternità finita. Perché finisce tutto? Perché è un fatto naturale? O perché è così deciso dal destino. Il dilemma tra filosofia e destino è il tragico del pensiero che muore nel deciso.
I suoi libri sono il rovescio ma anche il dritto, per dirla proprio con Camus. A cosa affidarsi? Non credo di trovare risposte. Se si apre una porta non si saprà mai cosa ci aspetterà. La filosofia di Sgalambro essendo non sistematica presenta una lettura comparata come si evince dai contributi che seguono.
Il saggio di Pierfranco Bruni è un lavoro che ha una sua ricerca a sé come si nota.
La ricchezza di tutto il lavoro ha una visione chiaramente innovativa che avvia una dialettica sia su Sgalambro che su una filosofia che intreccia aspetti sia epistemologi – fenomenologi che metafisici.
Nel curare il testo sono entrata in quelle forme speculari che riguardano sì la storia della filosofia ma anche la filosofia delle culture apportando gli opportuni collegamenti.
Mi auguro di esserci riuscita leggendo e scrutando, a tutto tondo, i diversi lavori che hanno, ognuno, una particolare unicità: dai linguaggi alle forme del “pessimo”, dalle eredità mediterranee alla teoria sulla musica. Mi ha fatto compagnia un’idea importante di Dominque Venner: “Un vero pensatore è colui la cui opera vieta di pensare come prima si pensava”.
Ho cercato di applicare questa visione nel curare il testo. Lungo questa strada ho intrattenuto la lettura.
*Curatrice del volume