a cura di Francesco Saverio Vetere – Segretario generale Unione Stampa Periodica Italiana USPI, docente Sapienza Università di Roma
Durante i lavori dell’Assemblea Costituente italiana (1946-1947), la definizione della libertà di espressione fu uno dei temi cardine nella stesura della nuova Costituzione. Mentre l’articolo 21 garantiva la libertà di manifestare il proprio pensiero “con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”, non faceva menzione esplicita della radio e della televisione. Questo ha suscitato domande sul perché tali mezzi di comunicazione non siano stati specificamente inclusi.
Contesto storico e tecnologico
Radio: negli anni ’40, la radio era già un mezzo di comunicazione di massa diffusa in Italia. Durante il regime fascista, era stato utilizzato come strumento di propaganda e controllo sociale.
Televisione: la televisione, invece, era agli albori. Le prime trasmissioni sperimentali in Italia iniziarono nel 1934, ma il servizio regolare della RAI (Radio Audizioni Italiane, poi Radiotelevisione Italiana) iniziò solo nel 1954, diversi anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione.
Ragioni dell’omissione
Terminologia generica e inclusiva:
“Ogni altro mezzo di diffusione”: l’Articolo 21 utilizza una formulazione ampia per abbracciare tutti i possibili mezzi di comunicazione presenti e futuri. Questa scelta lessicale intendeva evitare una lista dettagliata che potesse diventare rapidamente obsoleta con l’evoluzione tecnologica.
Centralità della stampa:
Focus storico sulla stampa: dopo anni di censura sulla stampa durante il fascismo, l’attenzione principale dei costituenti era rivolta alla libertà di stampa come simbolo della libertà di espressione ritrovata.
Stato pionieristico della televisione:
Tecnologia emergente: la televisione non era ancora diffusa né percepita come un mezzo di comunicazione di massa significativa. Pertanto, non era al centro delle preoccupazioni dei legislatori.
Monopolio statale sui mezzi di comunicazione radiotelevisivi:
Gestione pubblica: la radio era sotto il controllo statale, e c’era l’idea che i mezzi radiotelevisivi dovessero rimanere sotto una gestione pubblica per garantire un servizio imparziale e accessibile a tutti.
Dunque, non esistevano emittenti private; di conseguenza, i dibattiti sulla libertà di stampa, che riguardavano principalmente soggetti privati, non si estendevano naturalmente alla radio e alla televisione.
Preoccupazioni per l’ordine pubblico e la morale:
Controllo dei contenuti: alcuni costituenti ritenevano che la diffusione via etere richiedesse una regolamentazione più stringente per prevenire la propagazione di contenuti immorali o destabilizzanti.
Influenza delle teorie giuridiche dell’epoca:
Diritto amministrativo: la regolamentazione delle frequenze radiofoniche e televisive era vista come una questione di diritto amministrativo piuttosto che di diritto costituzionale.
Concezione della libertà di espressione : la libertà di espressione era intesa come un diritto individuale, mentre la gestione dei mezzi radiotelevisivi coinvolgeva anche aspetti tecnici e organizzativi che richiedevano una disciplina specifica.
Dibattito all’Interno dell’Assemblea
Proposte di inclusione: alcuni membri dell’Assemblea suggerirono di menzionare esplicitamente la radio, riconoscendone l’importanza crescente.
Resistenza alla menzione: la maggioranza optò per una formulazione generale, ritenendo che una lista esaustiva potesse limitare l’interpretazione futura della norma.
Preoccupazioni tecniche: la necessità di regolamentare l’uso delle frequenze e la natura tecnica delle trasmissioni radiotelevisive portò a considerare questi aspetti come materia di leggi ordinarie piuttosto che costituzionali.
Conseguenze e sviluppi successivi
Legislazione ordinaria: la regolamentazione della radio e della televisione fu demandata a leggi specifiche, come la Legge n. 103 del 1975 che riformò la RAI e la Legge Mammì del 1990 che regolamentò il sistema radiotelevisivo privato.
Giurisprudenza Costituzionale:
Sentenze della Corte Costituzionale: la Corte ha più volte interpretato l’Articolo 21 in modo estensivo, applicandolo anche ai mezzi radiotelevisivi.
Pluralismo informativo: la Corte ha sottolineato l’importanza del pluralismo nei mezzi di comunicazione di massa, riconoscendo che la libertà di espressione si estende anche a radio e televisione.
Implicazioni per la libertà di Informazione
Evoluzione tecnologica: La scelta di una formulazione ampia ha permesso all’Articolo 21 di rimanere rilevante nonostante l’evoluzione dei media, includendo oggi anche internet ei social media.
Monopolio e pluralismo: La mancata menzione specifica ha influenzato il dibattito sul monopolio statale e la liberalizzazione delle frequenze, questioni centrali negli anni ’70 e ’80.
Conclusione
La decisione di non menzionare esplicitamente la radio e la televisione nell’Articolo 21 della Costituzione italiana riflette un insieme di fattori storici, tecnologici e giuridici. La volontà di creare una norma flessibile e di durata ha portato a una formulazione generale che poteva adattarsi ai cambiamenti futuri. Sebbene ciò abbia sollevato questioni interpretative, la giurisprudenza e la legislazione successiva hanno esteso le garanzie costituzionali della libertà di espressione anche ai mezzi radiotelevisivi, assicurando che questi strumenti fondamentali per la democrazia fossero inclusi nella tutela dei diritti fondamentali.
Riflessioni finali
La scelta dei costituenti si è dimostrata lungimirante, permettendo all’Articolo 21 di adattarsi all’evoluzione continua dei mezzi di comunicazione. In un’epoca in cui nuovi media emergono rapidamente, una definizione inclusiva garantisce che i principi fondamentali della libertà di espressione restino applicabili e protetti. ( Fonte http://Vetere.it)
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Francesco Saverio Vetere, nato a Cosenza il 26 aprile 1962, vive a Roma. Avvocato patrocinante in Cassazione.
Dal novembre 1999 è Segretario Generale e Presidente della Giunta Esecutiva dell’USPI Unione Stampa Periodica Italiana, organismo nazionale di maggiore rappresentanza del comparto Editoria e Giornalismo.
Giornalista pubblicista. Docente di Storia della Stampa Periodica, Università “Sapienza” di Roma.Docente di Management dell’Editoria Periodica, Università “Sapienza” di Roma.
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