Pierfranco Bruni
Non bastarono l’opera e gli amori. Il tragico superò il melodramma e inventò il teatro considerandolo donna.
Cento anni fa moriva Giacomo Puccini. Nato a Lucca il 22 dicembre del 1858. Morto il 29 novembre del 1924 a Bruxelles. Cosa è stato Puccini nella cultura italiana?
E fu il passaggio dal melodramma al tragico senza rinunciare mai al teatro in cui la donna è fondamentale nella recita del canto della voce del gesto. Giacomo Puccini crea appunto il teatro della donna in cui la sensualità è nel canto e nella voce e prende il sopravvento sul reale perché il mistero e il sensibile sono più del rappresentativo. Perché l’onirico è oltre Mascagni e Verga ma anche oltre Verdi.
Potrebbe essere una provocazione? Ma no. È una lettura oltre altrimenti che senso avrebbero Manon o Tosca.
Puccini è la realizzazione di ciò che Eleonora Duse ruppe nel teatro della maschera da giro dopo l’incontro con Gabriele d’Annunzio. Certo Eleonora se non avesse incontrato d’Annunzio sarebbe rimasta una grande attrice ma non certamente la divina.
Puccini senza le sue donne non sarebbe arrivato a La Bohème diretta da Toscanini nonostante le sue numerose stroncature. Ma Puccini è Puccini perché porta in musica i suoi sentimenti e le sue emozioni soprattutto nell’anno in cui d’Annunzio pubblica Il fuoco dedicato a Eleonora. Ovvero il 1900. Tosca ha il suo debutto a Roma il 14 gennaio. È un anno decisivo.
Da qui si innervano nelle culture processi innovativi. Si pensi al tragico niccianamente e alla morte stessa di Nietzsche. Si pensi al legame tra letteratura, musica e psicologia. Si pensi al suo trasferimento a Torre del Lago e al suo amore immenso contrastato inquietante e terribile per Corinna. L’anno successivo inizierà la Madama Butterfly. Combinazioni esercizi di comparazioni o destini? Ma Nietzsche è dentro il suo ironico tragico del tempo e delle opere che mette in musica.
Nell’anno in cui Eleonora e Gabriele interrompono la loro relazione Puccini spesa Elvira, rimasta vedova. Amori che vanno amanti che ritornano e arte che esplode sino al 1920 con il pensiero a Turandot. Opera incompiuta? La vita è incompiuta. Sempre. Puccini un genio? Un’arte indissolubile soltanto.
Alla sua morte sarà Toscanini a dirigere la funebre marcia. Tutta l’arte di fine Ottocento e d’inizio Novecento passerà attraverso l’opera di Puccini. Compreso il travagliante Giovanni Pascoli.
L’amore ha la capacità di sconfiggere il male? Puccini ci prova. Non è soltanto uno spartito ma è sostanzialmente una filosofia della musica in cui nella musica si cerca di porre rimedio all’errore. L’errore di una scontentezza. Puccini scontento? Puccini tragico. Questo sì. Scrive Mario Dal Bello in uno libro straordinario edito da Solfanelli dal titolo: “Giacomo Puccini. Il teatro è donna”: “La tragicità è uno dei fili rossi sottesi dell’opera pucciniana”. Questo significa che Puccini è distante dalla cultura verista, ovvero della rappresentazione del reale.
Il notturno di Turandot è un crepuscolo nella notte un cui la vibrante corda impressionista è una lacerazione del tutto oltre il limite. Puccini è tragico. Non è il Verdi nazionale. È l’estasi dell’estetica in cui il senso di morte ha la grandezza della solitudine nell’utopia dell’amore.
Ma l’amore muore come la vita. Muore nella vita. Un cui amore e morte sono il mito archetipico greco. Anche per questo c’è in lui una metafisica sensuale precisamente dannunziana. d’Annunzio è il tutto in quella temperie di trionfo della morte e di notturno pur in una liricità profonda. Anche Kafka conosceva Puccini e lo aveva assorbito e aveva ben compreso che l’arte è come una forma di follia. Kafka e Puccini?
L’enigma. D’Annunzio e Puccini? Il tragico e il timore del tempo. Nietzsche e Puccini? Il pianto senza lacrime di Wagner. Il resto è La fanciulla del West. Il suo decadentismo è quasi agli estremi del mistico e la nostalgia su supera con il sentimento di morte che porta però in sé la fragilità degli amori e i desideri infranti delle passioni non durevoli. Perché si considera Pascoli malinconico? Non lo è come non è drammatico Puccini. Pascoli e Puccini sono tragici perché portano la morte di tutto nell’anima.
La musica è tragico sentiero dopo Wagner. Ogni favola è mistero e il mistero non rivelato è morente vita. Prima di tutto ciò cosa c’è? Il crepuscolo. Gli dei che vivono il crepuscolo sono un viaggio notturno, ritorna il vento dannunziano, in un fuoco in cui la poesia è fondamentale. Con il fuoco cosa resta? Poi? La cenere. Quella pirandelliana del Pirandello che si dispera per Marta Abba.
Perché tutto si consuma come nella metafora di Salomè. Nel cercare il bello si allontana dal vero. Elvira una fiamma. Gli altri amori una attesa.
La frase che chiude il secondo atto della Turandot dice: “Dimmi il mio nome. Dimmi il mio nome prima dell’alba, e all’alba morirò…”. Famoso e struggente. Come lo “struggersi” della vita. In tutto con Puccini. Il crepuscolo dunque che diventa notturno e il notturno distrugge ogni illusione. Alla fine tutto muore. Non per un istante. Ma per diventare tutto ricordo.
Nato nello stesso anno di Eleonora Duse e morto nello stesso anno. Il tragico anche in questo su fa destino. Ci fu una filosofia? Ma certo che si. La musica è una filosofia non solo della memoria come in Proust. Ma del morire.
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Pierfranco Bruni è nato in Calabria.
Archeologo direttore del Ministero Beni Culturali, presidente del Centro Studi “Grisi” e già componente della Commissione UNESCO per la diffusione della cultura italiana all’estero.
Nel 2024 Ospite d’onore per l’Italia per la poesia alla Fiera Internazionale di Francoforte e Rappresentante della cultura italiana alla Fiera del libro di Tunisi.
Per il Ministero della Cultura è attualmente:
• presidente Commissione Capitale italiana città del Libro 2024;
• presidente Comitato Nazionale Celebrazioni centenario Manlio Sgalambro;
• segretario unico comunicazione del Comitato Nazionale Celebrazioni Eleonora Duse.
È inoltre presidente nazionale del progetto “Undulna Eleonora Duse”, presidente e coordinatore scientifico del progetto “Giacomo Casanova 300”.
Ha pubblicato libri di poesia, racconti e romanzi. Si è occupato di letteratura del Novecento con libri su Pavese, Pirandello, Alvaro, Grisi, D’Annunzio, Carlo Levi, Quasimodo, Ungaretti, Cardarelli, Gatto, Penna, Vittorini e la linea narrativa e poetica novecentesca che tratteggia le eredità omeriche e le dimensioni del sacro.
Ha scritto saggi sulle problematiche relative alla cultura poetica della Magna Grecia e, tra l’altro, un libro su Fabrizio De André e il Mediterraneo (“Il cantico del sognatore mediterraneo”, giunto alla terza edizione), nel quale campeggia un percorso sulle matrici letterarie dei cantautori italiani, ovvero sul rapporto tra linguaggio poetico e musica. Un tema che costituisce un modello di ricerca sul quale Bruni lavora da molti anni.
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