Pierfranco Bruni*
La filosofia delle emozioni è un viaggio percettivo che tocca i sentimenti. Le emozioni sono mutevoli. I sentimenti hanno una variante anche identitaria non tra passato e presente, ma tra Occidente e Oriente.
Le civiltà e le loro storie influiscono sul valore dei sentimenti. La filosofia non è solo speculazione nelle epistemologie. Si avvale dei sentimenti. La metafisica è un campo vasto dove i sentimenti hanno la loro parte. Ma cosa sono i sentimenti nelle nostre vite? Percettibili sensazioni che durano esistenze o indelebili scavi tra le ricordanze e il quotidiano?
La vita non è un sentimento. È una costante percezione nel viaggio di tutti i giorni in cui l’amore non è un valore ma una spirituale condizione visibile e invisibile e le idee sono un viatico tra una eredità e un presente.
Il tempo non è una manifestazione dell’orologio soltanto. È impercettibile come il mistero. Si rivela quando ci poniamo delle domande. Il tempo non ci pone domande. Risponde soltanto. Il sentimento del tempo è la risultante di tutto ciò che ci appartiene.
Dobbiamo appartenerci altrimenti nulla ha senso. Il sentimento è l’espressione di un orizzonte di senso verso le corde del cuore.
Le civiltà risentono di questo dato. Può essere percettivo. Intuitivo. Il pensiero e la parola nascono da ciò. Soprattutto se si considera la filosofia un dato spirituale del pensare. Il resto è ragione. Ma tra ragione e sentimento la ragione può avere oggi un luogo a procedere?
Viviamo un tempo di emozioni ferite, di colloqui interrotti, di nostalgie mancanti di pezzi di memoria eppure dobbiamo avere la forza e il coraggio di non smarrire le eredità che permettono di essere quelli che siamo. Ci vuole coraggio nel restare fedeli nello straniamento che incombe e ci conduce verso quelle cadute che sono discese nelle illusioni.
Ci può salvare la tradizione. Ma quale tradizione? A volte è necessario restare in silenzio abitando in solitudine d’esilio il proprio viaggio anche se la rivolta ci invita a viaggiare.
Affinché la memoria abbia un senso abbiamo bisogno di non smarrire alcun ricordo. Legare l’immagine di ciò che abbiamo vissuto, che è in noi, al nostro cuore.
Porre tra le corde del cuore…. Sentire. Ha un senso nel “sento” che si lega al “dire”. Io sento e dico. Il tutto si intreccia con un codice fondamentale che è il sentimento.
Ovvero sento dico mento. Mento? Già, il ricordo porrebbe essere un mentire al presente? O un sentire la menta? Ebbene in solitudine d’esilio non è che siamo isola, ma per comprendere l’isola abbiamo la necessità di ascoltare la solitudine o le solitudini.
Non una rivoluzione. Una rivolta certamente. Da esistere a essere. Esistere è vivere nel mondo. Essere è appartenersi. Voglio sempre più appartenermi per non cedere alle lusinghe della vita senza la qualità dell’essere. Bisogna saper capire cosa è la qualità. Qui la metafisica mi viene incontro. Tra il disperdere e il disperare cosa può renderci veri?
Siamo un tempo in cui il linguaggio filosofico è la trasparenza della crisi. Perché il viaggio metafisico è un riscontro tra il la pietà e il nulla? Una empietà misantropica si accende nel fuoco dei giorni.
Proprio per questo viatico credo che da Maria Zambrano a Manlio Sgalambro tutto si fa sintesi in un secolo come il Novecento. Non un secolo breve e neppure un secolo lungo o medio. È una temperie in cui le macerie e le rovine si fanno disperazione. La speranza è una icona nel medagliere delle vite. E oltre?
Il tempo è fatto di macerie. I ricordi stessi cosa sono? Le rovine che restano dei giorni vissuti ma i giorni diventano immediatamente un vissuto. Siamo dentro questa caduta che ci permette però di avere la consapevolezza che siamo viventi tra il passato e il presente.
Il resto è una conversazione con noi stessi. In un mondo pessimo non può esserci pessimismo. Ma misantropia.
La ragione è una proposta storica che sfilaccia esistenza. Restare vigili nell’errore e nell’orrore è una potenza così trasparente che attraversa ogni volontà. Quando si smarriscono gli dei i miti diventano archetipi. Bisogna essere dentro la empietà per non farsi morire.
Il linguaggio è una disperante distrazione che cattura il dubbio. Siamo eredi senza eredità. È una certezza che supera la verità. Dobbiamo avere il coraggio di abitarci per non perderci morendo.
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Pierfranco Bruni è nato in Calabria.
Archeologo direttore del Ministero Beni Culturali, presidente del Centro Studi “Grisi” e già componente della Commissione UNESCO per la diffusione della cultura italiana all’estero.
Nel 2024 Ospite d’onore per l’Italia per la poesia alla Fiera Internazionale di Francoforte e Rappresentante della cultura italiana alla Fiera del libro di Tunisi.
Per il Ministero della Cultura è attualmente:
• presidente Commissione Capitale italiana città del Libro 2024;
• presidente Comitato Nazionale Celebrazioni centenario Manlio Sgalambro;
• segretario unico comunicazione del Comitato Nazionale Celebrazioni Eleonora Duse.
È inoltre presidente nazionale del progetto “Undulna Eleonora Duse”, presidente e coordinatore scientifico del progetto “Giacomo Casanova 300”.
Ha pubblicato libri di poesia, racconti e romanzi. Si è occupato di letteratura del Novecento con libri su Pavese, Pirandello, Alvaro, Grisi, D’Annunzio, Carlo Levi, Quasimodo, Ungaretti, Cardarelli, Gatto, Penna, Vittorini e la linea narrativa e poetica novecentesca che tratteggia le eredità omeriche e le dimensioni del sacro.
Ha scritto saggi sulle problematiche relative alla cultura poetica della Magna Grecia e, tra l’altro, un libro su Fabrizio De André e il Mediterraneo (“Il cantico del sognatore mediterraneo”, giunto alla terza edizione), nel quale campeggia un percorso sulle matrici letterarie dei cantautori italiani, ovvero sul rapporto tra linguaggio poetico e musica. Un tema che costituisce un modello di ricerca sul quale Bruni lavora da molti anni.
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