![Antinichilismo di Sgalambro](https://www.paeseitaliapress.it/wp-content/uploads/2025/02/Antinichilismo-di-Sgalambro--678x343.jpg)
Pierfranco Bruni, Presidente Comitato Nazionale Celebrazioni Manlio Sgalambro del Ministero della Cultura*
Roma, 8 febbraio 2025 – Cosa è il nichilismo in filosofia? Una domanda certamente aperta ma che non appartiene a Manlio Sgalambro. Nel suo itinerario c’è la misantropia. C’è la consolazione. C’è il senso della solitudine. C’è la metafora della morte del sole. C’è la disperante visione del sottosuolo. D’altronde Dostoevskij è presente in Sgalambro con l’allegorico mondo pessimo che si vive come un precipatato storico. Ma c’è alla fine il richiamo senechiamo della consolazione che chiede alla attesa di farsi ragione dell’anima.
Manlio Sgalambro mai nichilista, dunque.
Nel centenario della nascita come Ministero della Cultura Comitato Nazionale Celebrazioni Sgalambro abbiamo svolto diverse attività analizzando gli aspetti sia filosofici che letterari con convegni nazionali e pubblicazioni.
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Ci sono elementi che interessano modelli epistemologici fenomenologici e metafisici. C’è chiaramente un senso del tragico nei processi di pensiero.
Credo che non ci sia alcun nichilismo nelle sue opere. Il tragico non è assolutamente nichilismo. C’è una memoria che cattura le macerie e le rovine di una civiltà che crea intrecci tra le culture dell’Occidente e quelle dell’antico Oriente. Direi piuttosto che Sgalambro va oltre il nichilismo a cominciare dal suo incontro con Gorgia. Perché Giorgia è la grecità che nasce tra la caverna e l’isola. Qui piuttosto si potrebbe parlare di metafisica.
Allora, Sgalambro potrebbe essere considerato un filosofo metafisico? Forse questa è una strada. Incompiuta. Si confronta con il nichilismo ma c’è una base kantiana che lo porta a superare completamente questo scoglio. Non si tratta di porsi la morte di Dio o meno. Cosa che farà Nietzsche. Ma in Sgalambro insiste in forma ingombrante Schopenhauer. Se il pensiero marcisce non c’è il nulla.
C’è, comunque, il pensiero che si fa rappresentazione. Non fenomenologia. Un pensiero triste dolorante angosciante. Anzi tragico. Mai il vuoto. Tanto meno il nulla. “Marciscono i pensieri come scheletri fetenti, si muovono vermi a frotte”. Ci sono gli elementi nel tutto invisibile.
L’empietà forse è anche questa. Il codice del tragico viene da lontano. Il dato della conoscenza è perno fondamentale. Infatti dirà: “Dalle sconnesse budella del corpo-non corpo, fuoriesce disumamante conoscenza”. Se la conoscenza c’è c’è quindi il pensiero. Il punto è proprio qui: “…pietre su pietre si urtano con forza ostinata. Solo polvere resta”. Resta la polvere non il nulla.
Ciò già sconfessa il nichilismo. Sgalambro è l’altra faccia appunto del vuoto spregiudicato perché la metafora della polvere porta sulla scena proprio quelle macerie e quelle rovine di cui spesso parla.
Il tema centrale è il tempo. Agostino abita la caverna. Plotino è tra le sue parole. La dannazione è la contraddizione con la quale affronta Camus, Kafka e Cioran. Ma anche Kant. È Hegel l’assente presente perché dopo i suoi scritti sulla politica vuole allontanarsi per dare spazio alla condanna dello stesso Kant per impossessarsi di Baudelaire. Il quale è il costante invito al viaggio di cui discute con Franco Battiato.
Se ci fosse nichilismo non ci sarebbe la sua teoria della canzone e della musica. Proprio perché intreccia la teoria al trattato supera persino, a un certo punto della sua ricerca anche il nicciano contrasto con Wagner. Spinoza fa da contorno e Pascal ed è un dubbio perenne che si trascina sino al punto di intersecare Cultura e Spirito.
Scriverà: “Hegel lo chiamava spirito, noi cultura. Quella di cultura è una definizione negativa, è un’accozzaglia di cose, fatte per gli scopi più vari non per fornirci di un concetto dello spirito. Ernst Cassirer scrisse “Per una filosofia della cultura”, ma era una filosofia dello spirito mascherata, ridotta, svilita”.
Mi pare che sia oltre a bella provocazione anche un sostegno del pensiero forte che esula da ogni nichilismo. Il considerarsi chierico è una valenza che va verso addirittura la metafisica: “Io non sono un intellettuale, io sono un chierico. Intellettuale diventa colui che prende partito per valori estremamente politici. Il chierico invece è colui il quale si sforza di seguire valori che siano universali”.
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La vita vera è quella della mente, dirà ancora. E questo una cesellatura che lo conduce verso il pensiero scostante e coerente per incoerenza non sistematica. Perché i valori fanno scena e creano mosaico. Il valore è già il non nichilismo. Altrimenti non avrebbe senso tale affermazione: “Solo chi conserva i valori li perde, e solo chi non può che sovvertirli in realtà li conserva”. Sovvertire potrebbe anche significare sabotare o dominare la tradizione.
C’è molto altro quando lascia questo inciso: “…Chi vede il volto della bellezza muore, sì, ma non disperato”. La bellezza allora è altro da sé della disperazione stessa. Fuori il nichilismo ancora una volta. Nella tradizione del tragico prende corso il suo essere doloroso nella consapevolezza.
Infatti è anche oltre ogni forma di pessimismo quando afferma: “Se dovessimo porci il problema dell’utilità e del danno del pessimismo per la vita, non ci sarebbe che una sola risposta da dare: la verità o la vita”. Sgalambro cammina verso una ricerca di verità ma questa è possibile soltanto se la vita c’è con il suoi dubbi le sue macerie le sue rovine.
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A proposito di ciò Sgalambro: “Allibisco quando sento dire che le idee e le cose sono identiche. È il potere di questo scarto che definisce la capacità di pensare”. Il pensare è un un radicamento in una eredità pesante ma non pessimista:
Non possiamo fare a meno di essere eredi anche se lottiamo per scrostare questa “dimensione” dell’essere: “Il discorso pessimistico appartiene al genere oratorio, e questo perché presuppone un uditorio che può gridare e agitarsi”.
A Sgalambro non interessa ciò e non interessa il pessimo come non interessa essere considerato nichilista perché: “Gli individui sono dei concetti incarnati”. L’incarnazione è appunto essere eredi. Di cosa non importa.
Ma essere eredi è significante perché: “La ‘reductio’ di tutte le cose in Dio la conosciamo con un altro nome. In chi muore si rivela eo ipsola forza infera o, mettiamola così, la cara, vecchia essenza del mondo”. Essenza del mondo è un concetto chiave. Allontana qualsiasi pregiudizio di atarassia ma allontana il nichilismo e distanzia il pessimista dalla sua filosofia.
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Ciò che interessa Sgalambro in fondo è il fatto che occorre fare i conti con le età. Infatti: “Non v’è dunque che una sola età. Oppure, come possiamo anche dire, tutte le altre età sono faccende da psicologia. Solo la vecchiaia è in sé. Soltanto essa non chiede meno di una metafisica per essere trattata adeguatamente”.
Questo cosa significa? Significa porsi costantemente una domanda di senso che si chiama tempo. Sgalambro e il tempo. Un fatto. Non una metafora soltanto. Implica dunque un coinvolgimento con la metafisica. Credo che il vero problema sgalambriano sia proprio questo.
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Pierfranco Bruni è nato in Calabria.
Archeologo direttore del Ministero Beni Culturali, presidente del Centro Studi “Grisi” e già componente della Commissione UNESCO per la diffusione della cultura italiana all’estero.
Nel 2024 Ospite d’onore per l’Italia per la poesia alla Fiera Internazionale di Francoforte e Rappresentante della cultura italiana alla Fiera del libro di Tunisi.
Per il Ministero della Cultura è attualmente:
• presidente Commissione Capitale italiana città del Libro 2024;
• presidente Comitato Nazionale Celebrazioni centenario Manlio Sgalambro;
• segretario unico comunicazione del Comitato Nazionale Celebrazioni Eleonora Duse.
È inoltre presidente nazionale del progetto “Undulna Eleonora Duse”, presidente e coordinatore scientifico del progetto “Giacomo Casanova 300”.
Ha pubblicato libri di poesia, racconti e romanzi. Si è occupato di letteratura del Novecento con libri su Pavese, Pirandello, Alvaro, Grisi, D’Annunzio, Carlo Levi, Quasimodo, Ungaretti, Cardarelli, Gatto, Penna, Vittorini e la linea narrativa e poetica novecentesca che tratteggia le eredità omeriche e le dimensioni del sacro.
Ha scritto saggi sulle problematiche relative alla cultura poetica della Magna Grecia e, tra l’altro, un libro su Fabrizio De André e il Mediterraneo (“Il cantico del sognatore mediterraneo”, giunto alla terza edizione), nel quale campeggia un percorso sulle matrici letterarie dei cantautori italiani, ovvero sul rapporto tra linguaggio poetico e musica. Un tema che costituisce un modello di ricerca sul quale Bruni lavora da molti anni.
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