
PIERFRANCO BRUNI
Si sta toccando il fondo. Le Sinistre sempre più pieni di rabbia di livori. Perché? Perché la verità fa paura. Invece di leggerlo questo Manifesto di Ventotene cosa fanno? Perdono tempo prezioso a inforcare Falce e Martello e a invieire contro chi non la pensa come loro. Bello esempio di “democrazia”. Ma la loro formazione di ieri e di oggi è sempre la stessa. Chi non la pensa come loro in modo massificato è fascista. Sic! Ma non potrebbe anche essere che hanno un problema serio di legittimità popolare? Non sono mai stati legittimati da un consenso popolare. Un’altra verità.
Cosa succede? Nulla. Perché non provengono da una cultura forte, bensì da una ideologia manichea post giacobina. Nonostante il post sono sempre rimasti giacobini. Noi siamo rimasti nella Vandea. Ma noi siamo degli incolti. Invece loro, i sinistri, sono dei coltissimi. Oibò! Direbbe Totò.
Non hanno alcun riferimento non dico filosofico, perché sarebbe troppo, ammesso che abbiano letto un solo, dico un solo, testo serio di filosofia, ma culturale in senso piuttosto generale. Lo si vede anche in letteratura. Non sono in grado di ammettere che sono rimasti comunisti.
Perché il comunismo non è morto. Ha chiuso semplicemente una imposta soltanto nel 1989, ovvero nel 1991. Fino a qualche anno fa l’Unione Sovietica e ora Russia era intoccabile. Non si sono mai allontanati da quella ideologia.
D’altronde il Ventotene vangelo è il frutto di un incrocio tra comunismo, socialismo rivoluzionario e ateismo. Basta leggerlo questo Manifesto osannato. Certo non mi appartiene. Ma io sono un incolto. Loro sono dei coltissimi. La verità dove sta? Oibò direbbe ancora Totò.
Esiste una verità? Per me crepuscolare nicciano e gentiliano dell’essere (non tirate in ballo contraddizioni, in incipit c’è Vico) non c’è verità che tenga se non tra l’uomo e Dio. Non tra le masse e la rivoluzione proletaria come i rivoluzionari socialisti che cercano il potere senza la visione di una popolare libertà.
Quale Manifesto degli “eroi” della Patria. C’è una incisività materialista da fare inorridire il mio mai amato Voltaire. Ma loro dovrebbero almeno aver letto qualche frasario di Voltaire. E no. Mi sbaglio. Loro sono colti. Noi siamo gli incolti. Ma quale “ragion pratica”? La prassi del marxismo forse. Ma conoscono veramente Marx? Forse anche gli slogan che andavano di modo un tempo con il Mao e il Marcuse a tre dimensioni sono snebbiati.
Chi si ricorda le tre M? Le M non sono conosciute. Per allontanarle un certo Craxi, alla fine degli anni Settanta, recuperò Proudhon, il quale sosteneva: “Bisogna collaborare con ogni mezzo per scoprire le leggi della società, i modi in cui si realizzano queste leggi e i processi tramite cui siamo capaci di scoprirle; ma, per il buon Dio!, quando avremo demolito tutti i dogmi aprioristici, non pensiamo di indottrinare a nostra volta il popolo”.
Anarchia? Ma quale buon Dio? Se sosteneva che: “Dio è il male”, anzi: “Dio è l’ombra della coscienza proiettata sul campo dell’immaginazione” (da “Sistema delle contraddizioni economiche” a “Della giustizia nella Rivoluzione e nella Chiesa”. Maledette contraddizioni.
La logistica del pensiero di sinistra è crollato dappertutto. La loro storia, quella dei sinistri, non sta più in piedi. Lo stesso Gobetti a una lettura di oggi non è affatto quel liberale che si è voluto far credere. E Sorel? E va be’. Apostrofò Mussolini come un condottiero, meglio: “…È uomo del XV secolo. Un combattente”.
Maledetta contraddizione.
Ancora Sorel dirà: “Alla violenza il socialismo deve gli alti valori morali grazie ai quali porta la salvezza al mondo moderno. (da “Riflessioni sulla violenza”, 1908). Insomma…
Attenzione a parlare bene del Manifesto oggi e di condividerlo. Attenzione perché potrebbero uscire fuori dal cilindro degli incolti, che saremmo noi, sarei io, una storia completamente diversa come è stata raccontata. Credo che si tratti comunque di una operazione in cammino. Ed è giusto che sia così. Non esistono miti per l’eterno. I miti crollano da soli soprattutto quando si scava nei meandri di una storiografia tutta marxista.
Oibò. Che dico mai. Io sarei piccolo e nero di nome Calimero. Ma i sinistri sono i veri colti che si sono smarriti nella loro stessa storia. Cosa fanno? Urlano e sono rabbiosi. Meditate meditate. Prima leggete però. Fate almeno una promessa a voi stessi.
….

Pierfranco Bruni è nato in Calabria.
Archeologo direttore del Ministero Beni Culturali, presidente del Centro Studi “Grisi” e già componente della Commissione UNESCO per la diffusione della cultura italiana all’estero.
Nel 2024 Ospite d’onore per l’Italia per la poesia alla Fiera Internazionale di Francoforte e Rappresentante della cultura italiana alla Fiera del libro di Tunisi.
Per il Ministero della Cultura è attualmente:
• presidente Commissione Capitale italiana città del Libro 2024;
• presidente Comitato Nazionale Celebrazioni centenario Manlio Sgalambro;
• segretario unico comunicazione del Comitato Nazionale Celebrazioni Eleonora Duse.
È inoltre presidente nazionale del progetto “Undulna Eleonora Duse”, presidente e coordinatore scientifico del progetto “Giacomo Casanova 300”.
Ha pubblicato libri di poesia, racconti e romanzi. Si è occupato di letteratura del Novecento con libri su Pavese, Pirandello, Alvaro, Grisi, D’Annunzio, Carlo Levi, Quasimodo, Ungaretti, Cardarelli, Gatto, Penna, Vittorini e la linea narrativa e poetica novecentesca che tratteggia le eredità omeriche e le dimensioni del sacro.
Ha scritto saggi sulle problematiche relative alla cultura poetica della Magna Grecia e, tra l’altro, un libro su Fabrizio De André e il Mediterraneo (“Il cantico del sognatore mediterraneo”, giunto alla terza edizione), nel quale campeggia un percorso sulle matrici letterarie dei cantautori italiani, ovvero sul rapporto tra linguaggio poetico e musica. Un tema che costituisce un modello di ricerca sul quale Bruni lavora da molti anni.
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