Sono 7.348 gli eventi catastrofici degli ultimi 20 anni e di questi 6.681 sono legati al clima. Ben 3.9 miliardi le persone coinvolte in tutto questo e oltre 500.000 le vittime. Al primo posto le inondazioni, le tempeste (ben 2.043), ma anche ondate di calore, siccità e incendi. Un bollettino bellico che mostra la “prova di in un pianeta in cui le temperature medie globali nel 2019 sono state di 1.1°C oltre il periodo pre-industriale”. A dare questa fotografia a colori cupi è il recente rapporto congiunto delle Nazioni Unite (UNDRR) e del Centro di Ricerca sull’Epidemiologia dei Disastri (CRED) intitolato ‘Human Cost of disaster’.
Lo stesso rapporto evidenzia come i cambiamenti nel regime delle precipitazioni ‘mettano a rischio il 70% dell’agricoltura mondiale’. Se il surriscaldamento del pianeta non rallenta, il bollettino sarà ancora più cupo, gli eventi disastrosi aumenteranno e la vita delle persone ne sarà sempre più colpita. Basta pensare a Europa, Giappone, e Australia dove sono aumentati i decessi per colpi di calore e malattie e condizioni correlate. Il Mediterraneo rappresenta un’altra area di vulnerabilità, tra temperature elevate e rischio di siccità.
A lanciare l’allarme, tra gli altri, il Wwf che ha fatto il punto di questi recenti studi e in una nota ha lanciato un proprio documento su ‘Malattie trasmissibili e cambiamento climatico’ per mostrare come “il cambiamento climatico possa espandere l’areale geografico di specie che fungono da vettori di una vasta gamma di patogeni” o anche come “precipitazioni eccezionalmente intense accompagnate da temperature elevate possono favorire l’aumento di specie come le zanzare, vettori di patologie quali malaria, febbre della Rift Valley, Chikungunya, Dengue e Zika, mentre altre specie favorite dai cambiamenti climatici possono prosperare causando blastomicosi, echinoccoccosi, toxoplasmosi, tripanosomiasi e colera”. L’appello del Wwf non nasce solo per la pandemia Covid19, ma dalla volontà di non far decadere dall’agenda internazionale la priorità assoluta della tutela ambientale a livello globale. Basta pensare a tutte le campagne plastic free che, alla vigilia dell’emergenza sanitaria, erano sulle prime pagine dei media.
Sempre il Wwf ricorda anche i risultati del rapporto di settembre del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici che mette l’accento su “rischio quali incendi, riduzione delle risorse idriche, desertificazione e perdita di produttività delle colture” per non parlare del fatto che “ben il 91% dei comuni italiani risulta a rischio per frane e alluvioni, mentre sono oltre 7 milioni le persone che vivono o lavorano in aree definite ad alta pericolosità”. Gli ultimi tre morti sono di sabato 28 novembre, nell’alluvione che ha colpito il nuorese. Il nostro Paese vive una particolare condizione di fragilità su alluvioni e nubifragi. Le ragioni stanno tutte nelle catastrofi legate a un maltempo ‘straordinario’ e a una cementificazione selvaggia. Parte proprio in questi giorni la campagna italiana di “Race to Zero”, promossa dall’Ambasciata britannica a Roma in collaborazione con Italy for Climate.
A proposito del rischio climatico è bene ricordare che il primo accordo universale e giuridicamente vincolante sui cambiamenti climatici, è stato adottato alla conferenza di Parigi sul clima (COP21) nel dicembre 2015. Come si legge sul sito della Commissione Europea ‘l’UE e i suoi Stati membri sono tra le 190 parti dell’accordo di Parigi. L’UE ha ratificato l’accordo il 5 ottobre 2016, consentendo in tal modo la sua entrata in vigore il 4 novembre 2016’. E’ notizia di inizio dicembre che gli Stati Uniti potrebbero muoversi nella direzione di rientrare nell’accordo.
L’emergenza globale non è solo la pandemia e le contromisure necessarie, lo è e da tanto tempo la cronaca di un pianeta bollente, il brodo in cui si stanno trasformando i mari, i ghiacci erosi, quei gradi rossi di temperatura che corrono in sù, la vita delle persone e l’urgenza di fare qualcosa proprio adesso.
* Foto da WWF, US Keith Arnold