Roma, 27 settembre 2021 – Le aziende dei servizi idrici, ambientali ed energetici investono 280 milioni di euro all’anno nell’economia circolare, raggiungono un livello di raccolta differenziata che si attesta al 69% e un tasso smaltimento in discarica decisamente più basso della media nazionale. E’ questo lo spaccato che emerge nel position paper “Utilities protagoniste della transizione ecologica: le sfide dell’economia circolare”, messo a punto da Utilitalia, la Federazione che rappresenta le imprese dei servizi pubblici italiane. Il lavoro si concentra su un campione rappresentativo dell’84% dei ricavi complessivi e del 77% dei lavoratori del settore, che interessa circa 21 milioni di cittadini.
L’economia circolare rappresenta una radicale trasformazione dell’economia lineare: se quest’ultima prevede che alla fine del ciclo di utilizzo il prodotto “muoia”, ovvero finisca in discarica, in quella circolare viene proprio rivisto il concetto di rifiuto. Il prodotto, a fine ciclo, potrà essere riusato, riciclato, rigenerato o ricondizionato in un’ottica di sostenibilità (in inglese: end of waste, fine del rifiuto). Tuttavia, “è bene poi ricordare che, quando si parla di “economia circolare”, non ci si limita solo all’aspetto della “circolarità” materica – si legge nel documento di Utilitalia- ma anche a quello della “economia”: l’economia circolare si interroga quindi non solo su come mantenere le risorse più a lungo nel ciclo di utilizzo, ma anche su come estrarne il maggior valore possibile e generare quindi economie”.
Ma qual è il ruolo delle aziende che erogano servizi idrici, ambientali ed energia? E perché sono strategiche nella transizione ecologica, ovvero nel passaggio da un sistema di produzione e consumo insostenibile per i pianeta ad uno più sostenibile?
Le utilities sono da tempo impegnate in attività e investimenti rivolti all’economia circolare, con particolare riferimento a riciclo e trattamento dei rifiuti, all’efficiente gestione del servizio idrico integrato e a un sempre maggiore ricorso alle energie rinnovabili. In tal modo, le aziende dei servizi pubblici sono stati attori di primo piano nel passaggio verso un’economia circolare. La sfida per le utilities italiane, si legge nel documento, deve essere quella di capitalizzare la posizione di primato che il nostro Paese ricopre in merito alla gestione dei rifiuti, risolvendo i gap e le carenze che si riscontrano in questo ambito, a partire dalla carenza impiantistica e dalle difficoltà gestionali che colpiscono in maniera disomogenea il territorio, ma senza rinunciare a guardare al futuro. Questo lo si può fare sviluppando soluzioni innovative anche oltre il riciclo, in partnership aperta con le filiere di produzione di beni e di fornitura di servizi, ma anche con le università, le associazioni e il terzo settore, e sviluppando un dialogo diretto con cittadini.
I benefici di un approccio “circolare” – viene spiegato – vanno al di là della raccolta e della gestione dei rifiuti: nell’idrico ci sono opportunità legate al riutilizzo delle acque reflue depurate, al recupero e al riutilizzo dei fanghi di depurazione e al cosiddetto revamping (ammodernamento) degli impianti per migliorarne l’efficienza. Per l’ambiente è possibile sviluppare modelli di riuso, potenziare la raccolta differenziata di qualità, implementare nuovi flussi di raccolta, ridurre la produzione di rifiuti e applicare tecnologie innovative. Per quanto riguarda l’energia si può puntare su revamping e repowering (ripotenziamento) degli impianti di generazione, recupero degli accumulatori, sviluppo di modelli di condivisione e gestione del fine vita degli impianti energetici.
Le azioni già avviate e le opportunità
da sviluppare per le utilities, per ciascuna delle principali aree di attività (Utilitalia, Position paper “Utilities protagoniste della transizione ecologica: le sfide dell’economia circolare”)
Nell’economia europea i benefici ambientali – in una logica legata alla riduzione delle emissioni di CO2– potranno essere compresi tra 80 e 150 milioni di tonnellate al 2030, e tra 300 e 550 milioni di tonnellate al 2050. A questi si sommano i benefici economici: gli investimenti nell’economia circolare possono arrivare a sbloccare fino a 356 miliardi di euro al 2025 in Europa, con effetti anche sulla riduzione del 10% dei costi delle materie prime (fino al 12% in meno al 2050). Il potenziale complessivo potrebbe essere un incremento del Pil del 7% al 2030.
Per sfruttare al meglio queste potenzialità sono necessarie azioni congiunte che coinvolgono le utilities e i policy maker. “Da un lato, – conclude il position paper– le utlities devono adottare programmi che rendano più circolare il proprio business, dotarsi di strumenti di misurazione puntuale, migliorare le performance di riciclo e partecipare a piattaforme di collaborazione per lo sviluppo di progetti condivisi. Dall’altro lato, i policy maker devono approntare una Strategia nazionale per l’economia circolare e una roadmap per lo sviluppo di impianti di trattamento dei rifiuti; servono inoltre una revisione della disciplina dell’End of Waste, l’estensione del campo di applicazione della Responsabilità estesa del produttore a nuove filiere di rifiuti e infine l’incentivazione dello sviluppo del biometano“.
Nell’immagine 1: Le nove R dell’economia circolare: queste nove “R” sono intese in senso gerarchico, con priorità decrescente dalla prima all’ultima, in un’interpretazione estesa della gerarchia dei rifiuti prevista anche dalla direttiva europea sui rifiuti (Waste Framework Directive) sin dal 2008, con l’obiettivo di passare da un approccio “lineare” di sfruttamento delle risorse (estrazione → utilizzo → smaltimento), ad uno, appunto, “circolare” (Utilitalia, Position paper “Utilities protagoniste della transizione ecologica: le sfide dell’economia circolare”, pag. 4 e 5)
Foto di copertina: by Karsten Würth (➡️ @karsten.wuerth) on Unsplash