Roma – "Laverò ora i piedi di 12 di voi, ma in questi fratelli e sorelle siete tutti quelli che abitano qui. Loro rappresentano tutti gli altri". Nella cappella del carcere di Rebibbia, Papa Francesco ha introdotto così il gesto della lavanda dei piedi, che caratterizza la messa "in Coena Domini" del Giovedì Santo. "Anch’io – ha aggiunto – ho bisogno di essere lavato. Il Signore lavi anche le mie sporcizie perché io possa diventare più schiavo, schiavo di voi, essere di più al servizio della gente, come lo è stato Gesù". All'ultima cena, ha ricordato Bergoglio nella breve omelia rivolta ai detenuti, Gesù fa quello che i discepoli non capirono: a quel tempo la gente quando tornava a una casa aveva i piedi sporchi della polvere del cammino, allora non c'erano i sampietrini. Ma lo facevano gli schiavi, non il padrone. E Gesù lava come uno schiavo i nostri piedi, i piedi dei discepoli. Quello che faccio, tu ora non lo capisci. Si è fatto schiavo per servirci, guarirci, pulirci. Oggi, in questa Messa, la Chiesa vuole che il sacerdote lavi i piedi a 12, come 12 erano gli apostoli, ma nel cuore nostro dobbiamo avere la certezza, essere sicuri che il Signore quando ci lava i piedi ci lava tutto, ci purifica, ci fa sentire il suo amore". Papa Francesco, al suo arrivo al carcere di Rebibbia, aveva salutato i detenuti che lo attendevano nel cortile antistante alla chiesa intitolata al "Padre Nostro". Il Pontefice – durante il suo passaggio nel cortile – è stato abbracciato e baciato da molti detenuti, in particolare si è fermato a parlare un po’ più a lungo con uno di loro che – al collo – aveva appeso un cartello. Francesco aveva accanto solo l'anziano cappellano di Rebibbia, don Sandro Spriano. Il comandante della Gendarmeria vaticana, Domenico Giani, li seguiva ad una certa distanza. Alla fine il Papa, usando un microfono, ha ringraziato tutti i presenti per l'accoglienza, "calorosa e sentita …". "Grazie tante", ha detto visibilmente emozionato.