Cara Rita, il 29 novembre, domenica, doveva essere un giorno allegro, giulivo, festoso. Con mia moglie Carmela avevo pensato di festeggiare il tuo ritorno dal Kenya andando a cena in un localino del centro storico di Novara insieme a te, ai tuoi genitori e a don Luigi, tuo zio.
Così non è stato. La giornata, al contrario si è rivelata subito brutta, sconcertante, dolorosa.
La mattina sono stato svegliato da una telefonata di un amico che singhiozzando mi partecipava la ferale notizia, appresa dalla televisione, della tua scomparsa, perché uccisa il giorno prima, 28 novembre, da un colpo di pistola sparato da ladri kenyoti che avevano fatto irruzione nell’Orfanotrofio, ospitante venti bambini, che tu in quella terra, da volontaria, avevi contribuito ad organizzare con attività scolastiche, di laboratorio per l’apprendimento di arti e mestieri e con un ambulatorio medico, in nome e per conto della Onlus For Life di cui facevi parte.
Incredulità e poi prostrazione, sconforto, dolore hanno pervaso le persone di mia moglie e mia.
Come può essere, ci siamo chiesti, che una persona portatrice di tanta umanità, che vive dell’amore per il prossimo, che è sempre a disposizione dell’altro, che ama i bambini e si sacrifica per il loro bene possa essere così freddamente e brutalmente uccisa? Una risposta non l’abbiamo trovata. Certamente è un disegno del Signore che a noi miseri mortali non è dato conoscere. Solo nella Fede e nella preghiera i familiari e tutti quelli che hanno avuto la fortuna di conoscerti potranno trovare conforto al dolore per la tua scomparsa.
Un motivo di consolazione può essere il pensare che la tua sia stata una vita degna di essere vissuta, una vita all’avanguardia, di dono completo di sé per l’altro e soprattutto per i bambini che vivono nella miseria e nell’indigenza.
Tu, infatti, amavi immensamente i bambini del tuo Orfanotrofio e spesso tornavi nel Kenya per rivederli e riabbracciarli, ben sapendo che il tuo era un amore ricambiato. Questi piccoli orfani vedevano in te una nuova mamma e, come tu mi hai raccontato, ti chiamavano “mamma Rita”.
Ora, purtroppo, sono rimasti nuovamente orfani. Sono certo, però, che tu pregherai per loro e li proteggerai dalla Casa del Padre in cui sei tornata.
Della tua bontà ed umanità, della tua carità ed amore per il prossimo io sono stato un diretto beneficiario. E’ per te se oggi io sono ancora in vita. E’ per il tuo interessamento e le tue premure se io, dopo un lunga, sfibrante ed inutile attesa per un importante e delicato intervento chirurgico in un ospedale della capitale, sono stato subito operato nell’Unità Complessa di Urologia dell’Ospedale Universitario Maggiore della Carità di Novara.
E’ per te se io oggi, superata la fase critica e delicata dell’intervento posso ancora usufruire di cure specifiche qui a Novara per la risoluzione definitiva del male che ancora si fa sentire.
Grazie dottoressa Rita. Sei stata per me una fraterna amica, una “santa” Rita a cui rivolgerò sempre le mie preghiere.
Con Carmela, mia moglie, sono vicino nel dolore ai tuoi familiari e piango la tua perdita. Perdita avvertita e sofferta anche dai tuoi colleghi sanitari dell’Ospedale novarese, che ti stimavano e ti apprezzavano. Il tuo ricordo resterà imperituro anche nel cuore degli studenti universitari che seguivano con attenzione le tue precise e puntuali lezioni.
Con la tua scomparsa, Trivento, la cittadina che ti ha dato i natali e che accoglierà le tue spoglie mortali, perde uno dei suoi figli migliori e certamente si sentirà più povera.
Rita, amica mia, nella cristiana certezza di poterti un giorno rivedere ancora, io ti abbraccio insieme a tutti quelli che ti hanno conosciuta ed apprezzata e ti dico: riposa in pace, sit tibi terra levis, molliter ossa cubent (ti sia leggera la terra, le ossa riposino dolcemente)
Eduardo Vitiello