Un tempo nell’est sovietico ci si chiedeva quante fossero le divisioni del Vaticano. Oggi non solo il mondo è radicalmente mutato, ma nessuno pensa a Papa Francesco come uomo di potere che vuole dominare. E’ avvertito piuttosto come straordinario portatore di istanze profonde di giustizia, di pace, di difesa degli umili e dei bisognosi: ovunque la dignità e la libertà dell’uomo sono offese e massacrate dalle guerre , da odi radicati e da contrapposizioni irriducibili. Le ferite del mondo papa Francesco le conosce a fondo e lo toccano direttamente, ricordando di continuo che non si può stare alla finestra. Da questa consapevolezza nasce l’incontro con il patriarca Cirillo dopo una frattura antica di 1000 anni. Hanno scelto Cuba isola fuori da tensioni e divisioni della vecchia Europa, diventata di recente simbolo di speranza per una fase interamente nuova, protesa al futuro dopo l’intesa Usa-Cuba per la quale molto ha lavorato la diplomazia vaticana su ispirazione del primo Papa latinoamericano.
Nella saletta dell’aeroporto Josè Marti ha sorpreso l’assenza di qualunque segno esteriore, sola una grande icona della Vergine, legame espressivo della spiritualità e della devozione mariana dei due protagonisti. Quell’abbraccio reciprocamente sorridente e l’espressione dei volti che mostravano insieme gioia e sorpresa: la consapevolezza che una nuova fase di storia si inaugurava tra Mosca e Roma con grandi benefici possibili tra le due chiese e contemporaneamente per l’umanità intera. Questo il clima riproposto dal Papa nella tradizionale conferenza stampa con i giornalisti sull’aereo e con Francesco a sottolineare che si è trattato di un incontro tra due fratelli che non si parlavano da troppo tempo e che avvertivano la necessità di riprendere un dialogo fecondo e carico di speranza per il futuro.
La rotta verso Città del Messico era abbastanza semplice e all’arrivo il Papa è stato sommerso dall’affetto dei giovani nei colorati vestiti messicani e dall’assordante musica dei mariachi, i popolari suonatori che si trovano nelle strade e nelle piazze e che accompagnano tutte le feste in provincia e nelle città. Subito il diretto contatto con i gravi problemi della società messicana , il narcotraffico, la corruzione, la criminalità, la violenza, specie contro le donne e i bambini, con quel fenomeno inquietante e terribile dei desaparecidos. Un quadro terribile verso il quale papa Francesco sollecita con energia ad una forte reazione insieme ai governanti e ai politici anche le famiglie e gli stessi vescovi : non ci si deve “accontentare” di dichiarazioni generiche di condanna che lasciano il tempo che trovano. E’ quasi una sollecitazione dal basso rivolta a tutti i settori della società, perché le questioni che sono in gioco in Messico con l’enorme dramma dell’emigrazione verso gli stati Uniti non possono essere affrontate con efficacia se prevale una logica di scarica barile e di sottrazione dall’impegno e dalla partecipazione a una generale rinascita.
Non è pessimista il Papa ma sente il dovere di rappresentare anche con crudezza le piaghe profonde di un paese straordinario e bellissimo sottoposto però a continue violenze spesso anche di chi dovrebbe governarlo pensando con l’esclusiva preoccupazione della costruzione del bene comune. Totalmente immerso nelle grandi questioni che riguardano tutta intera la società messicana di cui l’immensa capitale con oltre 15 milioni di abitanti con i suoi monumenti, la sua vastità, il suo caos,lo squilibrio smisurato tra ricchi e poveri rappresenta l’enormità dei problemi da affrontare e la difficoltà di favorire la crescita di esperienze solidali e comunitarie. Anche questi numeri riportano all’attenzione del suo animo la questione dell’immenso continente cinese che il Papa vorrebbe visitare. Ci sarebbero disponibilità e qualche apertura da parte dei dirigenti di Pechino e certo i rapporti tra repubblica popolare cinese e chiesa di Roma non sono mai stati così reciprocamente attenti fino a possibili espliciti esiti positivi.