Giacomo Stucchi, da 5 anni Presidente del Copasir, il Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica che ha sede a Palazzo San Macuto, a pochi passi dal Pantheon, è l’uomo che ha le mani sui “dossier”, come si dice nel gergo degli 007. Alla vigilia delle elezioni, Paese Italia Press lo ha intervistato per un bilancio del lavoro portato a dama, e uno sguardo strategico sul futuro per garantire la sicurezza degli italiani.
Senatore della Lega e uomo delle istituzioni. Dopo 5 anni da presidente del Copasir e 350 sedute a palazzo San Macuto tracciamo un bilancio di questo lavoro?
I numeri parlano da soli, ma non e' una questione di dati o algoritmi: e' piuttosto un percorso che rende il senso di un impegno e di una 'vision', come il rapporto di grande sinergia e collaborazione con il Comparto Intelligence per portare risultati concreti a casa. Un bilancio positivo, dunque, chiudiamo senza lasciare nulla in sospeso, dopo aver vissuto e affrontato uno dei momenti più delicati e difficili della nostra storia. Ci siamo insediati il 6 giugno 2013: il giorno prima era scoppiato il caso Datagate o Snowden, che aveva acceso grandi preoccupazioni anche per il nostro Paese, chiamato ad affrontare e seguire la vicenda in termini di competenze di Intelligence. Poco dopo la nascita di Daesh, con i tragici accadimenti che conosciamo e attacchi asimmetrici condotti su una scacchiera globale, la risposta e' stata forte, e coordinata, motivata dalla necessità di supervisionare e fare l’oversight di una serie di attività di Intelligence del Comparto Sicurezza che potessero garantire la massima protezione ai nostri concittadini.
Al di la' degli stereotipi di gente con occhiali scuri e impermeabile, ci racconta come sono davvero questi 'Servizi segreti'? Che professionalità ha trovato? C’è spazio per l’umanità e la bellezza per un lavoro così ai confini, per difendere la democrazia e la liberta'?
Abbiamo la possibilità di avere a disposizione informazioni delicate, ma ciò che conta di più sono gli uomini e le donne che lavorano nel Comparto e che si impegnano con dedizione totale, in silenzio e con un altissimo senso dello Stato. Rispetto a tanti anni fa c’è anche una percezione diversa, da parte dei cittadini, del lavoro dell'Intelligence nazionale ora guidata dal Prefetto Alessandro Pansa. Una volta si pensava alla barbe finte, ai servizi deviati, oggi anche le recenti ricerche dell’Eurispes testimoniano come quasi due cittadini italiani su tre abbiano molta fiducia nell’Intelligence e i risultati sono sotto gli occhi di tutti: se non capita nulla è perché qualcuno sta sul campo, in teatro operativo, e in silenzio lavora. Con regole precise e sotto una sola bandiera che e' la protezione dell'interesse nazionale. Anche se si può e si deve sempre migliorare, abbiamo un capitale umano importante e di qualità, che ci è riconosciuto anche da altri Servizi collegati: nell’ambito delle missioni internazionali in questi cinque anni sono state riconosciute da tutti l’importanza e la qualità del lavoro svolto dalla nostra intelligence. Uomini necessari in Patria e all'estero.
Nel libro Sicurezza e Libertà (appena edito per il decennale della Legge 124), lei ha scritto tra le altre indicazioni che “Il successo della sicurezza è la partecipazione: la nuova intelligence è partner credibile di imprese e università": attraverso il lavoro della Scuola di formazione degli 007, tanti cittadini stanno conoscendo il lavoro delle donne e degli uomini del comparto. E’ una sfida culturale che deve proseguire?
L'imperativo e' continuare questo lavoro a onde lunghe, anche con il roadshow 'Intelligence live' in 30 Università da Nord a Sud del Paese si è aperta una strada verso il mondo accademico che non era mai stata sperimentata prima. Comtaminazioni positive e tante connessioni ma anche progetti comuni di ricerca in settori delicati quali il cyber. La tendenza era sempre stata quella di “arruolare” di prendere professionalita' che avevano un certo tipo di provenienza, soprattutto militare, dal mondo della Difesa.
Aprire alle Università significa coinvolgere giovani che sono al primo impiego, ma che soprattutto rappresentano quell’energia nuova e vitale che ci permette di innovare anche un certo tipo di vedute “sclerotizzate" e oggi anacronistiche. Il 'sangue nuovo' di eccellenze che vengono dalle migliori universita' circola con il sangue di un corpo che e' solido e guarda avanti. Di fronte a minacce nuove bisogna avere delle risposte nuove, ma è necessario proporci in una postura che sia in grado di controbattere in tempo reale. La società civile, il mondo della scuola, l’Università, il Mondo dell’Impresa possono fornire una serie di spunti ed elementi che permettono in modo complementare di chiudere il cerchio del Comparto Intelligence in termini di conoscenza e capacità di risposta. Sul sito sicurezzanazionale.gov.it i giovani talenti, diplomati e laureati, possono trovare il bando (scade l'8 marzo) per la selezione di nuove professionalita' nell'ambito delle attivita' di cyber security del Comparto Intelligence. Gli 007 non leggono interiora di pollo, decodificano scenari. E questo si fa studiando, analizzando, evitando il pericolo della desincronizzazione e scavando continuamente nelle pieghe del presente per cogliere i 'weak signals' di ogni cambiamento possibile. Un esercizio di analisi e di operativita' deve sempre tradursi in una decisione che tuteli il nostro Paese. Una attivita' anticipante e' spesso piu' importante di una attivita' reattiva.
La grande partita per la sicurezza si gioca anche sul campo cyber. Il Copasir di recente ha approvato una relazione che richiama l’attenzione sulla sicurezza delle reti e dei sistemi informativi. Dalla sanità alle banche, dai trasporti alla privacy del cittadino in gioco c’è la tutela della sicurezza nazionale.Quali sono le strategie messe in campo?
Bisogna capire che ognuno deve fare la propria parte, qui c’è una grande partita che deve essere giocata e come in una squadra di calcio o di basket ci sono dei ruoli che devono essere ben definiti per riuscire a ottenere il risultato. Si tratta di attuare una strategia che sia prioritariamente unitaria e nazionale, ponendoci come obiettivo principale di lungo periodo di definire un “Codice Italia”, un sistema di protezione che sia garanzia di una tutela adeguata verso tutti gli asset fondamentali di un Paese, proprio perché fatto con la partecipazione delle menti e degli elementi migliori di tutta la nostra società. La minaccia ibrida si traduce spesso in campagne di influenza che mirano a condizionare il 'sentiment' dell'opinione pubblica, mentre lo spionaggio digitale mette nel mirino assets strategici per sottrarre know-how e orientare negoziazioni. Rispetto a qualsiasi minaccia al sistema Paese, l'intelligence e' presidio sicuro e affidabile. L'obiettivo, come rimarca il Direttore del DIS, e' farsi trovare sempre un passo avanti rispetto alla minaccia. La dimensione sfidante e' cambiare le cose sul terreno, con una grande parola d'ordine: strategia. E con un 'segreto': Man in the middle.
In questi anni, dinanzi a una minaccia ibrida e multiforme, e’cambiata non solo la percezione del lavoro delle ‘spie’ ma anche il concetto stesso di sicurezza nazionale, che indica ora il bisogno di proteggere imprese e conoscenze da attacchi provenienti da mondi ormai senza confini. Come reagiamo?
E’ molto importante ricordare a tutti coloro che detengono dati sensibili l’importanza della tutela di tutte queste informazioni. Ci troviamo spesso di fronte a realtà che sono dei fiori all’occhiello per quanto riguardal’industria piuttosto che i settori economici del nostro Paese o la Difesa, o comunque di comparti delicati e strategici del Paese che a volte non hanno la piena percezione di quanto siano sensibili i dati gestiti, l‘importanza che possono avere per altri, e la loro appetibilità. La sfida è anche culturale: dobbiamo capire che ogni singolo dato può avere una valenza economica e strategica, quindi potrebbe essere sfruttato da altri per finalità diverse. Ma anche qui non possiamo andare a rimorchio, inseguendo la scia: dobbiamo fare noi l'andatura, facendo squadra per un lavoro che invita davvero e sia capace di risolvere i problemi. Come scrive John Le Carre' nel suo nuovo romanzo, 'Un passato da spia', "non si perdono le battaglie quando ci si prepara".
La Relazione annuale dei Servizi, presentata lo scorso 20 febbraio, mette in guardia su tanti rischi e spiega anche come la minaccia jihadista sia “concreta e attuale”. Si segnala il pericolo di estremisti homegrown, attivati da ‘registi del terrore’. Una sfida cruciale e sempre aperta…
Se il pericolo foreign fighters di ritorno è stato limitato da leggi approvate e che prevedono l’arresto, sicuramente l’homegrown che si radicalizza nel nostro Paese perché già presente, cresce all’interno del nostro Paese, e ad un certo punto sviluppa delle intenzioni ostili, è il soggetto più pericoloso che potrebbe innescare conseguenze molto gravi. Si tratta in questo caso di compiere azioni di prevenzione sul territorio, controllo e monitoraggio dei luoghi di aggregazione per prevenire eventuali azioni ostili. Qui serve capacita' di captare anche segnali bassi, cifrando i dati e mettendo in campo analisi e tecniche per 'mordere' la minaccia. Un impegno tutto al maiuscolo.
La sconfitta di Daesh sul terreno spinge i foreign fighters a ritornare nei Paesi di origine. Ma secondo evidenze d’ intelligence tanti ‘combattenti’ dell’esercito nero si stanno portando nel nord dell’Afghanistan. Al Qaida, invece sta tornando con forza e si teme riuscirà ad aggregare la nuova minaccia terroristica.
Tanti di quelli che hanno combattuto per Daesh si sono spostati nei paesi d’origine, parliamo soprattutto dei soggetti che venivano dai Paesi Africani, pochi sono tornati in Europa: molti sono stati arrestati, e di conseguenza altri hanno preferito restare sul posto o spostarsi in zone vicine.
Al Quaida è il vero problema, perché la caduta di Daesh rafforza questo movimento: rinasce un soggetto che tutti ritenevano sconfitto o superato ma che in effetti era solamente dormiente. Al Quaeda, attore transnazionale considerato dagli 007 vivo e vitale, oggi ha raccolto le aspettative di coloro che avevano creduto in Daesh, continua ad attrarre gruppi minori soprattutto in Asia Meridionale, nel sud est asiatico e in Libia, e ciò può scatenare nuove minacce terroristiche. Una minaccia puntiforme che chiama a risposte costanti e di lungo periodo. L'estremismo islamista e' una minaccia di prima grandezza.
Cosa si sta facendo per la lotta alla criminalità organizzata?
La lotta alla criminalita' organizzata è, e deve rimanere, sempre uno dei punti di riferimento dell’attività dell’intelligence. Se è vero che dobbiamo dedicare attenzione particolare alle questioni urgenti, ci sono criticità importanti che tengono il banco sempre aperto. Se non vediamo sulle prime pagine dei giornali o nei titoli di apertura dei telegiornali omicidi per mano di Cosa Nostra, non è perché la mafia sia morta. Questo cancro sociale esiste ancora e dobbiamo combatterlo con ogni mezzo, senza sosta. Combattiamo il terrorismo nelle forme adeguate e continuamo al contempo la lotta alla criminalita' organizzata che punta sempre piu' a inserirsi nei processi decisionali pubblici attraverso la corruzione. Cosi come combattiamo la gestione criminale dei migranti.
Lei è a Roma da 22 anni. C'e' qualcosa che avrebbe voluto fare e che non ha fatto?
Nel Primo libro di Samuele si racconta di Saul che ando' a cercare asini e invece trovo' un Regno. Lo ricordava anche Giordano Bruno, come sempre divertito, in un bel passaggio della Nolana filosofia. Non voglio dire che venivo dalla mia Bergamo per mettere a ferro e fuoco Roma, che sta nel mio cuore. Piuttosto e' la cifra di una novita' sempre da cogliere, come una porta aperta che rimanda ad altre soglie e avventure di pensiero o impegno politico che vale la pena percorrere. Io ho avuto tanto e ho lavorato molto per ricambiare la fiducia di tanti cittadini. Con questa esperienza al Copasir penso di aver concluso un percorso per quanto riguarda la carriera parlamentare con un livello elevato. Ho conosciuto e apprezzato professionisti dell'Intelligence che mi hanno confermato la loro dedizione alle istituzioni. C’è sempre la possibilità di migliorare ma credo mi possa ritenere soddisfatto: questa legislatura in cui io non sarò presente in Parlamento la considero una parentesi, ma credo che la mia attività politica e parlamentare sia solamente sospesa. Utilizzo una metafora calcistica: dopo cinque legislature, quindi cinque campionati giocati da titolare siamo arrivati ad un campionato in cui mi viene chiesto di andare in panchina. Vedremo poi se alla fine meriterò di ritornare in campo da titolare. Di sicuro continuo ad allenarmi, pronto come sempre a dare il massimo impegno. Con il sorriso, non stanco, del veterano.