Come quella spigolatrice di Sapri del Mercantini, anche noi assistiamo impotenti al loro massacro. Non sono i rivoluzionari che sbarcano per liberare il paese dall’oppressore borbonico, ma dei semplici migranti alla ricerca di una vita migliore. Costretti a lavorare per pochi euro all’ora (i più fortunati arrivano a 3 euro/ora, a chi va male un euro al quintale), proseguono la loro vita di stenti in un paese che non accoglie né integra, ma sfrutta e schiaccia finché l’uomo non è più utile. Poi lo getta via come un kleenex usato.
Questa è stata la storia anche di questi 12 braccianti migranti. Iniziata con uno sbarco, proseguita con il riconoscimento della protezione internazionale e con tanto lavoro agricolo sottopagato, la loro vita è terminata lunedì 6 agosto lungo la statale 16 all’altezza dello svincolo per Ripalta, nelle campagne di Lesina. La dinamica è la stessa dell’incidente di sabato 4 agosto in cui hanno perso la vita altri quattro braccianti migranti sulla strada provinciale 105 tra Ascoli Satriano e Castelluccio dei Sauri. I lavoratori rientravano da una giornata di lavoro nei campi di pomodoro a bordo di un furgoncino. Metodo di trasporto tipico del caporalato, uno dei crimini nostrani più aberranti. Sono state avviate le indagini da parte della Procura di Foggia, ma probabilmente sarà il solito fuoco di paglia.
Questo incidente, infatti, è solo uno dei tanti che coinvolgono questa fetta della popolazione. Ogni anno si parla di caporalato, di rifugiati o migranti che muoiono nei campi o sulle strade, di leggi presenti ma non applicate e di assenza dello Stato e delle istituzioni. Ogni anno si risolve in un nulla di fatto. Tante parole da parte dei politici di turno ma nessun risultato tangibile.
Subito infatti sono arrivate le grida di condanna verso il caporalato da parte delle istituzioni. Il Premier Conte ha ricordato le vittime e promesso interventi immediati per contrastare il fenomeno.
Il vice premier e ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio, ha espresso la necessità di “arginare una volta per tutte la piaga del caporalato. Un sistema vergognoso che sfrutta la disperazione di persone disposte a tutto pur di lavorare”. Ha inoltre aggiunto: “Serve un maggiore controllo ed è per questo che mi attiverò, sin da subito, per avviare tutte le procedure necessarie per un aumento del numero degli ispettori cui spetta il delicato compito di vigilare”.
Anche l’altro vice premier e ministro dell’interno, Matteo Salvini, ha dichiarato che si recherà sul posto. In particolare per partecipare ad un summit “sicurezza” con il Premier Conte nella vicina città di Foggia. Salvini ha sottolineato la criticità del problema caporalato, soprattutto per le piccole aziende e i piccoli agricoltori onesti. Non una parola verso i migranti morti e sfruttati. Forse avrà scoperto che alcuni di loro possedevano la sua acerrima nemica: la protezione umanitaria.
Intanto, sempre Salvini è ripartito con le sue dichiarazioni ponderate e soluzioni pertinenti: “Svuoteremo i ghetti! Non è possibile che in una società avanzata esistano dei ghetti”. La soluzione definitiva a tutto esatto. In questo modo si colpirà al cuore il caporalato. Ma ormai stanno diventando talmente routinari gli slogan elettorali per il ministro degli interni per far caso al loro contenuto e alla concretezza dei suoi messaggi.
La USB (Unione Sindacale di Base) ha indetto uno sciopero per mercoledì 8 agosto. A partire dalle 8.00 del mattino inizierà la marcia dei berretti rossi. Quegli stessi cappellini che “i 4 braccianti morti e i quattro feriti di sabato indossavano nei campi per proteggersi dal sole mentre si spaccavano la schiena per raccogliere pomodori alla vergognosa paga di un euro al quintale”, come precisato nel comunicato stampa. Aboubakar Soumahoro, del coordinamento lavoratori agricoli USB ha precisato che il movimento si pone come obiettivo principale “la tutela dei lavoratori e la rivendicazione dei loro diritti, negati in Puglia come in Calabria, in Piemonte, o nel Lazio.” La stessa battaglia seguita da Soumaila Sacko, ucciso nella piana di Gioia Tauro lo scorso 2 giugno, e da tutti quei braccianti morti per rivendicare i propri diritti e uscire dal circuito della schiavitù.
Il corteo inizierà nelle campagne dove i braccianti lavorano ogni giorno per arrivare a piazza Cesare Battisti nel centro di Foggia. Si vuole chiedere la verità. Ma non quella relativa all’incidente in se per se preso. Ma le sue radici più profonde: “la marginalità sociale estrema, l’ignobile sfruttamento dello stato di bisogno di ragazzi soli e senza diritti, costretti alla sopravvivenza tra le baracche dei ghetti, in un contesto sociale che sempre più li rende preda unicamente di sentimenti di rabbia e di insofferenza”. Così la Flai CGIL e le altre associazioni di Capitanata impegnate nel tema dei diritti dei braccianti, migranti e non, nell’agricoltura.
Ed è importante in questo caso precisare quanto poco conti la provenienza geografica, perché il bracciantato agricolo è forse uno dei pochi lavori in cui italiani e migranti vengono parimenti sfruttati. Le fasce più deboli della popolazione sfruttate, discriminate e sottopagate. E forse proprio da lì occorrerebbe partire per cominciare a parlare di inclusione e partecipazione sociale, le uniche vere armi contro il caporalato.