Il mondo del profit vive un momento di grande crisi valoriale, la difficoltà di rimanere “umani” viene spostata un passo avanti ogni giorno dal cinismo economico. L’imprenditore, ovvero colui che organizza le proprie risorse all’interno dell’azienda, ha il dovere-diritto di creare profitto, ma il sistema che negli ultimi anni sta emergendo è un sistema basato solo sulla massimizzazione del profitto, a discapito sia della qualità della produzione, che siano beni o servizi, sia del dipendente a volte “spersonalizzato”. Questo processo durato anni ha portato ad una “cultura” di disamoramento verso il “lavoro”, ed un precariato relazionale, che sembra incidere anche nella capacità produttiva dell’azienda. Il terzo settore, l’imprenditorialità sociale, che da sempre è stata la terza gamba dello stato, ho vissuto un periodo di forte difficoltà, la mancanza di fondi e la sempre maggiore richiesta di servizi alla persona, ha creato un momento di forte difficoltà, in cui gli operatori del settore hanno dovuto gestire la situazione grazie proprio alla regola di sussidiarietà propria del mondo della cooperazione, ma questa gestione “in emergenza” rischia di essere insostenibile con il passare del tempo, rischia di portare al collasso.
In questi giorni il governo ha incontrato in varie occasioni i rappresentanti del terzo settore ed attraverso le relazioni instaurate stanno cercando di concretizzare delle azioni rivolte proprio al terzo settore.
Il 5 dicembre il Presidente del Consiglio Conte incontrando i rappresentanti della Confcooperative ha dichiarato, ammettendo la complessità dell’azione di riforma, di volersi assumere due punti fondamentali: nella legga di bilancio del 2020 sarà l’aumento del fondo del 5 per mille di 10 milioni di euro, e l’impegno di tutto il governo alla realizzazione della riforma del terzo settore”.
Nei giorni scorsi altri esponenti del governo , ad esempio il Sottosegretario di stato all’economia e politiche sociali, Steni Di Piazza, ad un incontro a Catania dal titolo “Imprese di comunità e nuovi modelli di welfare locale”, dove a firma di senatore Emiliano Fenu è stato presentato il disegno di legge sulle “imprese di comunità”, ha dichiarato :“Quello che abbiamo presentato a Catania è un disegno di legge utile per costruire e rafforzare un terzo pilastro che ci piace chiamare comunità. Perché, di fatto, vogliamo che si valorizzino tutte quelle belle esperienze sociali ma anche profit, in particolare che utilizzano il profitto per crescere e per restituirlo alla propria comunità. “ Ma cosa propone questo disegno di legge.
Sembra emergere in modo evidente che il punto fondamentale di questa riforma sia quello che le imprese di comunità siano realtà produttive che hanno lo scopo, anzi sembra proprio il principio fondante, di essere radicate nel territorio di riferimento, sia come sede, sia come personale assunto, e che inoltre non siano slegate dal contesto in cui operano, ma siano, una sorta di laboratorio di cambiamento economico e culturale. Il beneficio del disegno di legge presentato si può riassumere in due punti, il primo riguarda proprio la comunità in cui l’impresa sarà creata, una impresa porta sempre beneficio al luogo dove è situata, e la seconda è la partecipazione dei destinatari nella gestione dell’impresa. In questo disegno sembra emergere il lavoro svolto in questi anni delle realtà di economia civile, dei progetti di microcredito e delle forze “umani” di economia. Il quadro di insieme sembra far ben sperare in un ritorno più concreto ed anche più economicamente sostenibile, ad una economia che rimette al centro la persona ed il bene comune più tosto che il “misero” profitto a tutti i costi.