Recenti episodi di cronaca, come la distruzione del pronto soccorso dell’ospedale dei Pellegrini da parte di un’orda di sciamannati, hanno riportato negativamente all’attenzione del pubblico la sanità di Napoli e del Mezzogiorno. Si tratta, in effetti, di episodi riferibili a deleteri usi e costumi sociali, che nulla hanno a che vedere con la gestione della professione di Ippocrate. Spesso, però, i media ci fanno sopra sensazionalismo e colore, con il risultato di mettere in cattiva luce un settore che, invece, vanta non pochi elementi di eccellenza. Solo per fermarci a Napoli, vengono in mente la chirurgia toracica dell’ospedale Monaldi (centro di eccellenza per i trapianti di cuore, introdotti in Italia da Maurizio Cotrufo), la cura dei tumori con i protocolli più avanzati dell’istituto Pascale, la virologia del Cotugno con Giulio Tarro, la soluzione delle emergenze nell’apposito padiglione dell’ospedale Cardarelli, dedicato all’emerito dirigente della sanità Pasquale Buondonno, che lo fece costruire qualche decennio fa. E’ qui che soffermiamo la nostra attenzione, avendo avuto modo anni fa di definire gli operatori del pronto soccorso, impegnati nel loro lavoro, come degli “autentici eroi”. Caratteristica che si ripete adesso per tutta la categoria medica impegnata a fronteggiare l’epidemia di coronavirus. L’occasione di tornare sul tema è data da una visita alla Divisione di Medicina del DEA (ex medicina di urgenza) del Cardarelli, dove abbiamo visto in operosa attività una equipe di medici, infermieri ed ausiliari che, ad uno sguardo d’insieme di un non addetto ai lavori, hanno dato l’idea di “api in un alveare”. Ciascuno con il suo compito, in un via vai di pazienti afflitti da malanni molto seri. Il primario, Mariano Carafa, ci ha descritto l’attività di un reparto di eccellenza, dove si tratta di salvare vite umane con fermezza, decisione e rapidità. Parliamo di personale medico altamente specializzato e di vasta esperienza, orientato ed organizzato dalla Direzione Strategica. Il dottor Carafa, con la sua attività ultra trentennale, è specialista in cardiologia, medicina interna e medicina del lavoro. Tutti i suoi colleghi vantano curriculum di livello. Il reparto interviene su un ampio spettro di malanni, tutti in grado di mettere in pericolo la vita dei pazienti: insufficienza respiratoria, renale e cardiaca; sepsi; polmonite semplice; embolia polmonare; malattie cerebrovascolari acute ischemiche ed emorragiche. L’unità operativa di medicina DEA è centro di riferimento per le malattie tromboemboliche, con un elevato numero di pazienti ricoverati con tale patologia ed un ambulatorio dedicato a pazienti dimessi, o inviati dal pronto soccorso, che necessitano di valutazione clinica, strumentale e terapeutica. Vengono assistiti, in particolare, pazienti in trattamento con i nuovi anticoagulanti (NAO).
Dopo questa disamina, non si può, però, sottacere l’atteggiamento di alcuni visitatori del reparto, parenti ed amici di pazienti ivi ricoverati. C’è chi, forse per partito preso, ha sempre da ridire e da stigmatizzare: “questo non va, quest’altro andrebbe fatto in altro modo. Il personale è distratto, se la prende con comodo…”. Parliamo di un vezzo italico: quello della critica facile e senza fondamento. Ma si rendono conto costoro delle immani difficoltà che dirigenti e collaboratori di un reparto così complesso devono affrontare? Certamente non ne hanno la minima idea. Magari perché sono concentrati soltanto sul loro interesse personale e familiare, umanamente comprensibile. Come anche con difficoltà accettano l’esigenza di limitare gli accessi alla struttura e le visite ad amici e parenti in tempi molto difficili e pericolosi di coronavirus. Per fortuna, però, la capacità e l’azione prevalgono su ogni meschina critica, come testimoniano le migliaia di pazienti guariti e dimessi ogni anno.