Peppino Impastato quest’anno avrebbe compiuto 73 anni se la sua vita e la sua attività di lotta alla mafia, impegno culturale, sociale e politico non fossero state dolorosamente interrotte dalla violenza della mafia. Il suo messaggio continua a vivere grazie a chi ne ha raccolto il testimone: sua madre Felicia, i familiari, i compagni/e di Peppino, il Centro Impastato, gli attivisti e attiviste.
“Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà” queste le parole di Peppino che ancora oggi riecheggiano.
La notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978, la mafia uccideva il conduttore radiofonico e giornalista Peppino Impastato. Il suo omicidio rimase a lungo oscurato da uno scherzo del destino: lo stesso giorno, a Roma, fu ritrovato il corpo di Aldo Moro, ucciso dalla Brigate Rosse. Dopo un lungo percorso giudiziario durato oltre due decenni, è arrivata la definitiva condanna per i responsabili dell’omicidio Impastato. il ricordo della sua lotta contro la criminalità organizzata è ancora vivo. Quella data è entrata nella storia d’Italia e la figura di Peppino Impastato oggi è un simbolo di coraggio e resistenza antimafia.
Giuseppe “Peppino” Impastato nasce a Cinisi, in provincia di Palermo, il 5 gennaio 1948, all’interno di una famiglia mafiosa. Il padre Luigi e altri parenti hanno legami forti con Cosa Nostra: il cognato di suo padre, ad esempio, era il boss Cesare Manzella. Per questo motivo, a 15 anni taglia ogni rapporto con il padre, che lo caccia fuori di casa. Il giovane Impastato diventa così un attivista politico-culturale antimafia.
Nel 1965, a 17 anni, Impastato entra nel Psiup (Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria) e fonda il giornale L’idea socialista. Dal ’68 e fino alla morte, avvenuta 10 anni dopo, partecipa come dirigente alle attività dei gruppi di Nuova Sinistra. Una delle sue battaglie più sentite fu quella nel 1968 al fianco dei disoccupati e dei contadini espropriati della propria terra per la costruzione della nuova pista dell’aeroporto di Palermo, proprio a Cinisi. Nel 1975 fonda il gruppo “Musica e cultura”, con il quale organizza attività culturali che spaziano dal cinema al teatro, dalla musica ai dibattiti politici. L’anno successivo crea l’emittente privata ed autofinanziata “Radio Aut”, con la quale ogni giorno denuncia i crimini della mafia nella provincia palermitana. In particolare, quelli della zona di Cinisi e Terrasini e del boss Gaetano Badalamenti. Grazie al controllo dell’aeroporto di Palermo, i mafiosi della zona avevano un ruolo centrale nello spaccio internazionale.
Non a caso anni dopo Badalamenti sarà condannato a 45 anni di reclusione per traffico di droga dalla Corte di New York, nel processo alla “Pizza Connection”. In poco tempo, la trasmissione più celebre e seguita di Radio Aut diventa Onda pazza, durante la quale Impastato usa la satira per attaccare e prendersi gioco dei politici e dei mafiosi.
La notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978 gli assassini lo prendono con la forza, mettono il suo corpo ai binari di una ferrovia e lo fanno saltare in aria con il tritolo.
I cittadini di Cinisi riescono comunque a farlo eleggere simbolicamente al Consiglio comunale, votando il suo nome. Le prime indagini si concludono in fretta, decretando un attacco terroristico, o un suicidio: quello che volevano far credere i suoi assassini. È solo grazie al contributo coraggioso del fratello Giovanni e della madre Felicia Bartolotta Impastato che si scopre la verità, anni dopo. L’omicidio è opera di Cosa Nostra.
Il 9 maggio 1979 il Centro Siciliano di Documentazione di Palermo (nel 1980 intitolato a Impastato) e Democrazia Proletaria organizzano la prima manifestazione nazionale antimafia.
Nel 1983 viene ucciso il Consigliere Istruttore Rocco Chinnici, che aveva avviato il lavoro del primo pool antimafia. Sulle base delle sue indicazioni, nel maggio del 1984 il Tribunale di Palermo emette una prima sentenza che riconosce la matrice mafiosa dell’omicidio, attribuendolo ad ignoti.
Nel 1986 la madre di Peppino, tramite il Centro Impastato, pubblica un libro, in cui racconta la sua storia: s’intitola “La mafia in casa mia”. In un passaggio del testo, la signora Impastato racconta di un viaggio negli Stati Uniti del marito Luigi, il quale dopo un incontro con il boss Badalamenti, in seguito alla diffusione di un volantino di Peppino, rivela ad una parente: “Prima di uccidere Peppino devono uccidere me”. Nel settembre del 1977 il padre di Peppino muore in un incidente stradale. Dopo le dichiarazioni di Salvatore Palazzolo, un affiliato alla mafia di Cinisi, che accusa Badalamenti di essere il mandante dell’omicidio assieme al suo vice Vito Palazzolo, si riapre formalmente l’inchiesta. Dopo diverse udienze, il 5 marzo 2001 la Corte d’assise condanna a 30 anni di reclusione Vito Palazzolo, dopo averne riconosciuto la colpevolezza. L’11 aprile 2002 è il turno di Gaetano Badalamenti, che viene condannato all’ergastolo. Dopo più di 20 anni, si conclude il lungo percorso giudiziario sulla vicenda Impastato. Rimane oggi Peppino una figura della lotta alle mafie, ma non istituzionale, o di palazzo, ma che si svolge nelle strade, attraverso un giornalismo fatto di radio/volantini, discorsi in piazza, contatto con la gente, un giornalismo che aiuta a comprendere, a conoscere, a formulare una propria idea… un giornalismo che oggi continua ad esistere e combatte, affinché il libero pensiero possa essere tutelato.
Chiudo con una frase che Peppino dice a suo fratello nel film “la mafia è una montagna di merda!”