Seconda giornata della storica visita di papa Francesco in Iraq. Stamattina ha presieduto un momento di preghiera nell’incontro interreligioso nella Piana di Ur, luogo sacro alle tre religioni monoteiste, luogo “benedetto che ci riporta alle origini, alle sorgenti dell’opera di Dio, alla nascita delle nostre religioni. Qui, dove visse Abramo nostro padre, ci sembra di tornare a casa – ha affermato Papa Francesco –. Qui egli sentì la chiamata di Dio, da qui partì per un viaggio che avrebbe cambiato la storia. Noi siamo il frutto di quella chiamata e di quel viaggio. Dio chiese ad Abramo di alzare lo sguardo al cielo e di contarvi le stelle. In quelle stelle vide la promessa della sua discendenza, vide noi. E oggi noi, ebrei, cristiani e musulmani, insieme con i fratelli e le sorelle di altre religioni, onoriamo il padre Abramo facendo come lui: guardiamo il cielo e camminiamo sulla terra”.
In mattinata aveva incontrato a Najaf il Grande Ayatollah Sayyid Ali Husaini Sistani. Papa Francesco ha sottolineato l’importanza della collaborazione e dell’amicizia tra le comunità religiose per contribuire al bene dell’Iraq, della regione e dell’intera umanità. “L’incontro – ha sottolineato Matteo Bruni, direttore della Sala Stampa della Santa Sede – è servito al Papa per ringraziare il Grande Ayatollah Al-Sistani che, insieme alla comunità sciita e di fronte alle violenze e alle grandi difficoltà degli ultimi anni, ha alzato la sua voce in difesa dei più deboli e perseguitati, affermando la sacralità della vita umana e l’importanza dell’unità del popolo iracheno”.
A Ur dei Caldei, prima del discorso di Papa Francesco, due giovani hanno portato la loro testimonianza di amicizia e lavoro insieme nonostante i diversi credi religiosi. “Mi ha colpito la testimonianza di Dawood e Hasan – ha sottolineato il Papa –, un cristiano e un musulmano che, senza farsi scoraggiare dalle differenze, hanno studiato e lavorato insieme. Insieme hanno costruito il futuro e si sono scoperti fratelli”. Di seguito le testimonianze di una donna di religione sabea mandea, Rafah che ha raccontato la storia di Najy, della sua comunità, e che perse la vita nel tentativo di salvare la famiglia del suo vicino musulmano.
“Contemplando dopo millenni lo stesso cielo, appaiono le medesime stelle – ha affermato il Papa –. Esse illuminano le notti più scure perché brillano insieme. L’uomo non è onnipotente, da solo non ce la può fare. E se estromette Dio, finisce per adorare le cose terrene. Da questo luogo sorgivo di fede, dalla terra del nostro padre Abramo, affermiamo che Dio è misericordioso e che l’offesa più blasfema è profanare il suo nome odiando il fratello. Ostilità, estremismo e violenza non nascono da un animo religioso: sono tradimenti della religione”.
Ma l’invito di papa Francesco, nel forte e vibrante appello di Ur è anche quello di camminare uniti sulla terra perchè come ha ribadito nella sua ultima Enciclica “Fratelli tutti”: nessuno si salva da solo.
“Abbiamo bisogno di uscire da noi stessi, perché abbiamo bisogno gli uni degli altri. La pandemia ci ha fatto comprendere che «nessuno si salva da solo». Eppure ritorna sempre la tentazione di prendere le distanze dagli altri. Ma «il “si salvi chi può” si tradurrà rapidamente nel “tutti contro tutti”, e questo sarà peggio di una pandemia»”.
Al termine dell’incontro di Ur, Papa Francesco si è trasferito a Nassiriya.