Roma. Recovery plan, pandemia e riforma Bonafede: queste, secondo il Ministro della Giustizia Marta Cartabia, le tre direzioni su cui si dovrà imperniare il proprio mandato al dicastero di via Arenula.
Sentita ieri in Commissione Giustizia della Camera dei deputati nell’ambito di una serie di audizioni dei Ministri sul contenuto della Proposta di Piano nazionale di ripresa e di resilienza, la Guardasigilli non ha nascosto preoccupazioni ed urgenze del comparto giustizia.
«Non cerchiamo la perfezione, ma le migliori risposte possibili nelle condizioni date» avverte, consapevole «della gravità del momento, dell’enormità dell’impegno, della necessità di agire in tempi stretti e di addivenire a soluzioni condivise». Il periodo storico, il poco tempo a disposizione per una legislatura già oltre il giro di boa ed il dibattito avanzato su una riforma della giustizia che ha da sempre destato più dubbi che certezze impongono, secondo il Ministro Cartabia, di rispondere alle più urgenti tra le numerose problematiche in campo «auspicando di poter contribuire a rispondere almeno ad alcune delle domande di giustizia che ardono in vari ambiti del nostro Paese».
Per queste ragioni è già al lavoro un gruppo di esperti scelti dall’ex Presidente della Consulta apportando modifiche e riorientando alla luce della nuova maggioranza le disposizioni della riforma Bonafede. Le risorse del Recovery plan, continua Cartabia, possono essere la svolta verso la riorganizzazione della macchina giudiziaria ed amministrativa attraverso la valorizzazione del personale ed il potenziamento delle infrastrutture, sia quelle digitali che quelle dell’edilizia giudiziaria e penitenziaria.
Nella sua audizione, il Ministro della Giustizia dedica ampio spazio alla mediazione civile, alla mediazione penale, alla rieducazione ed ai metodi alternativi di risoluzione delle controversie per alleggerire i Tribunali ed allentare il ricorso alle pene detentive. «La “certezza della pena” non è la “certezza del carcere”, che per gli effetti desocializzanti che comporta deve essere invocato quale extrema ratio – sostiene il Guardasigilli –. Occorre valorizzare piuttosto le alternative al carcere, già quali pene principali». Un cambio culturale prima ancora che normativo, quello descritto da Cartabia che assicura essere già in atto: «il tempo è ormai maturo per sviluppare e mettere a sistema le esperienze di giustizia riparativa, già presenti nell’ordinamento in forma sperimentale che stanno mostrando esiti fecondi per la capacità di farsi carico delle conseguenze negative prodotte dal fatto di reato, nell’intento di promuovere la rigenerazione dei legami a partire dalle lacerazioni sociali e relazionali che l’illecito ha originato».
Infine riferimenti alla riforma el CSM ed al contrasto alla criminalità organizzata e alle mafie.
«Ce la faremo se saremo animati dalla stessa convinzione che, in altra epoca, non meno drammatica e divisa della nostra, ha sostenuto tanto i padri costituenti quanto i fondatori del grande progetto europeo che in questo nostro tempo mostra tutta la sua lungimiranza – ha concluso il Ministro – , “Ciò che ci unisce è più forte di ciò che ci divide”».
Sebastiano Corso